Dailybasket.it, i 70 anni di Varese. Bob Morse e Dino Meneghin, Zanatta e il professor Nikolic, Dino e Andrea Meneghin, Vescovi e la famiglia Bulgheroni. La Mobilgirgi

Bob Morse a inizio carriera, a Varese
Bob Morse a inizio carriera, a Varese

 

di Vanni Zagnoli

Alè, alè, alè Cantù. Non è un bel modo di iniziare un pezzo su Varese, no? Ma lo facciamo apposta, per fare dispetto ai benpensanti, ai conformisti, ai maestrini. A quelli che così non va, matita blu.

Perchè, ovviamente, ciascuno è libero di scrivere ciò e come vuole. E la firma di qua e la grande firma di là.

Bene. Alè, alè, alè Cantù. E’ il coro che ci è rimasto impresso, dalla tv, da inizio anni ’80, quando stavamo alzati la domenica notte o a metà settimana per vedere una partita di basket. C’era quel tifo, quel coro ritmato a Cucciago.

Cantù è stata il fenomeno degli anni ’80, con lo scudetto, le coppe, neanche guardiamo il palmares. Ultimo acuto, a memoria, perchè altrimenti con wikipedia è tutto troppo facile è stata una Korac, nel ’91. In campo europeo, in Italia ha vinto in questo decennio la supercoppa.

Bene, prima l’altra Lombardia è stata immensa, con Varese. Senza cori nè maschere notturne, per dirla alla Ivano Fossati, ma con l’epica di un basket che i 40enni di oggi hanno visto solo in fotografia. La palla a spicchi con Aldo Giordani e Mabel Bocchi non ancora alla Domenica Sportiva, con Dino Meneghin centro non così aggraziato, ma con tanti campioni e scudetti in sequenza, con quel tiratore mortifero, Robert Morse. Bob Morse.

Con i capelli lunghi, non come oggi o come 30 anni fa a Reggio Emilia. Zanatta e poi altri eroi in maglia gialla, Ignis e poi Mobilgirgi, ovvero frigoferi e cucine, contro la Simmenthal Milano, la carne in scatola che finiva spesso in frigo.

Epica, magia, prosopopea, tutto quello che volete.

Qui ci vorrebbe Aldo Giordani o magari Luca Chiabotti che qualcosa ricorda, Paolo Viberti che da un anno e mezzo ha lasciato Tuttosport o il gemello Giorgio de La Stampa. A Masnago, che in effetti fa rima con Cucciago, non si passava. C’erano i tifosi delle Scarpette Rosse e gli altri che tenevano per Varese.

Il professor Nikolic, Messina, la famiglia Bulgheroni che poi ha preso in mano il basket varesotto. 30 anni fa c’erano Cecco Vescovi e Massimo Ferrajolo in regia, Corney Thompson pesantissimo ma effiicace e Stefano Rusconi, poi in Nba. C’era lo zio Joe, Isaac, poi anche a Reggio, in panchina. Campionati splendidi ma niente scudetto. Sapete, è arrivato nel ’99, con Carlo Recalcati, la stella con Gianmarco Pozzecco e Vescovi e molti altri eccellenti giocatori.

Ebbene, tutto questo compie 70 anni, tanti. Varese ha avuto l’ultimo sussulto due anni fa, con la regular season dominato e poi la semifinale scudetto persa a beneficio di Siena, che non meritava poi tanto. Gli scudetti di Varese erano di classe, quelli di Siena non aggiungiamo nulla, ok? Non è affar nostro giudicare.

Giudichiamo solo i ricordi, l’ebbrezza varesotta, mentre il calcio in questa terra leghista è finito in Eccellenza, forse. Neanche qui controlliamo.

Varese è il basket, ancora, in serie A, con dignità.

Vi ha allenato Virginio Bernardi, oggi manager di allenatori, Varese era il basket, quella sequenza di titoli e anche di coppe, con quei canestri dalla lunga distanza e in avvicinamento di Morse e dei suoi scudieri. La provincia vera, sana, duratura, come Pesaro, molto prima e molto più di Pesaro.

Oggi c’è Reggio Emilia che vuole imitare Varese e Cantù, c’è stata Cantù che imitava Varese. Varese resiste in A anche senza campioni, cedendo Polonara proprio a Reggio, mentre Milano butta soldi per vincere quasi nulla. Ma questo è un altro discorso e presto ci ritorneremo.

 

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