Enordest.it. Bolchi l’ultimo Maciste ma il primo per la Panini

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Vanni Zagnoli

Se ne va un altro pezzo di un calcio che non c’è più, Bruno Bolchi. Ieri sono stati celebrati i funerali, nella chiesa di Pieve a Nievole, in provincia di Pistoia, al termine della funzione la salma è stata cremata. Aveva due figli, Alessandro, commercialista, e Andrea, fisioterapista.

Anche Luca Baroncini, sindaco di Montecatini Terme partecipa al dolore dei familiari per la scomparsa di ‘Maciste’, com’era detto. “Come amministrazione abbiamo avuto modo di apprezzare le sue grandi dote umane e professionali. La Valdinievole perde un simbolo importante del mondo sportivo”.

Durante il lockdown, ne avevo percorso per ore e in più riprese la carriera, con una chiacchierata che in parte trovate sotto. Bruno stava benissimo, a 80 anni, c’eravamo sentiti anche un anno fa, per fargli ricordare un altro mito scomparso, Tarcisio Burgnich: “Non mi faccio vedere di proposito – raccontava -, vado a messa con mia moglie”. Se ne va a 82 anni e mezzo. 

Esordì in serie A con l’Inter, a 18 anni, diventandone capitano appena tre anni dopo, un record. Giocò con il Verona, l’Atalanta e il Torino, concluse la carriera di calciatore nel campionato 1970/71, a 30 anni. Come allenatore fu alla guida del Bari dei miracoli che, in due anni, dal 1983 al 1985, salì dalla C alla A. Altre promozioni in A furono a Cesena, Lecce e la prima della Reggina, subentrando a 6 giornate dalla fine a Elio Gustinetti. Il soprannome di Maciste se lo guadagnò all’Inter per il suo fisico possente. Fu anche il primo calciatore, nel 1961, ad apparire sulle figurine della Panini. 

Alcuni dei concetti che più stavano a cuore a Bolchi.

“Allenatori con più di 800 panchine dimenticati dai presidenti, mai nessuno che ci abbia chiesto consigli. La gavetta è fondamentale, per arrivare ai massimi livelli e poi mantenerli. Io allenavo davvero, avevo un solo vice, oggi certi staff sono di 10 persone, io stesso a 80 anni potrei allenare ancora. Anche Trapattoni era spettacolare, per me è stato migliore di Sacchi. Davano anche a me l’etichetta di difensivista, era falsa”.

Una parte dei nostri videoracconti con Bruno.

Una delle imprese a cui era più affezionato fu la semifinale di coppa Italia con il Bari, in serie C1, un altro dei suoi primati. 

Al Monza ebbe Roberto D’Aversa, come centrocampista. “Non aveva entusiasmo, ad allenarsi, era ciondolante, da allenatore mi ha stupito”. Volle il numero da noi per salutarlo.

Ci trovavamo d’accordo sugli allenatori più sottovalutati, ovvero Guidolin, che ha smesso dopo l’esperienza in Galles, e Gasperini. Ricostruì volentieri, con noi, il suo top11 della carriera, non solo con l’Inter vincitrice della prima coppa dei Campioni. Bruno andava fiero dei tanti giovani lanciati, lui si era rivelato prestissimo e per un giocatore difensivo era inconsueto. “E al Torino ero l’uomo di Mondino Fabbri”.

Ci raccontò la sua settimana tipo e i programmi di lavoro, quando iniziò ad allenare era affascinato dall’Ajax anni ’70, nelle ultime stagioni dal Liverpool di Klopp. “Contasse il gioco – osservò -, gli allenatori non sarebbero esonerati dopo 3 sconfitte”. 

Parlammo di Capello, uno dei tecnici più pragmatici. E del suo Lecce portato in serie A, dopo quello di Eugenio Fascetti. “C’era Mimmo Cataldo come ds”. Passò in rassegna i presidenti e i ds migliori della sua vita.

Un bel passaggio fu sul Belgio, come club e nazionale, negli anni ’70 e ’80 furoreggiava, con la tattica del fuorigioco. Una delle mission di un allenatore è portare il club al top della propria storia. E lui in tante piazze ha colto davvero grandi risultati. Mancherà a tutti, nelle 24 città o località dove ha lavorato. Tantissime. Sempre con enorme dignità.

Da “Enordest.it”

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