Famigliacristiana.it. San Precario, il santo immaginario del calcio antirazzista: dal 2007 a Padova la polisportiva promuove l’inclusione degli immigrati, è in Seconda categoria, con Cerilli allenatore.

san precario

La versione originaria del servizio online da domenica su famigliacristiana.it

http://www.famigliacristiana.it/articolo/san-precario.aspx

di Vanni Zagnoli

Nel Padovano c’è il San Precario. Detta così, sembra una gogliardata, una provocazione, insomma questo non sarebbe il sito giusto per raccontare questa storia. Invece…

Invece è proprio così, nella terra di Sant’Antonio nel 2007 è nata una polisportiva arrivata in Seconda categoria, la penultima del calcio federale, dopo di che ci sono soltanto i campionati amatoriali. La mission è aiutare tramite il calcio, sensibilizzare il più possibile su temi sociali.

La telefonata con il presidente Roberto Mastellari inizia così: “Lei è andato a vedere il nostro sito?”. “Certo, però, non è chiarissimo. San Precario sembra un tema da comici…”.

“E’ un santo immaginario, senza parrocchia, diciamo noi”.

Non esiste, ovviamente. Poteva essere, per esempio, il nomignolo tradizionale di un quartiere o di una strada in un lembo patavino.

“No, a parte il nome è tutto reale – aggiunge il presidente, 54 anni, titolare di una copisteria San Francesco, a Padova -. Ci occupiamo di immigrazione e lo facciamo con la campagna “gioco anch’io”. Due anni fa, abbiamo fatto cambiare idea alla Figc veneta, che consentiva il tesseramento di un solo straniero, fra quanti sono nati all’estero oppure vengono da federazione straniera, e così abbiamo potuto tesserare due fratelli albanesi. Ci occupiamo di antirazzismo e antisessismo, secondo il motto “No one is illegal”. Giochiamo al vecchio stadio Appiani, lì ci accompagna lo striscione “Padova accoglie”.

E anche “refugees welcome”, benvenuti rifugiati. E’ una bella suggestione, nell’impianto che sino a 20 anni fa ospitava i biancoscudati, prima del varo dell’Euganeo. All’Appiani il Padova di Nereo Rocco raggiunse l’apice, con il terzo posto nel ’57-’58 e il famoso catenaccio, ovvero la difesa a oltranza orchestrata da Scagnellato, e le giocate dello svedese Kurt Hamrin e del po­deroso centravanti Brighenti.

Oggi l’attenzione non è tanto per il pallone ma fuori, con la campagna “palla al piede”.

“Per far giocare a calcio detenuti del carcere di Padova, iscritti al campionato di 3^ categoria. Giocano all’interno del Due Palazzi, da un anno. Al 90% sono stranieri e quell’idea è in compartecipazione con la Nairi Onlus, operante nell’ambito dei diritti umani, con il progetto “Rimettiamoci in gioco”.

Non sono tante in Italia le squadre formate da persone che ancora devono scontare una pena, fra i primi è partito il rugby “La Drola”, a Torino, con la casa circondariale Lorusso e Cutugno. A Padova mirano a creare una polisportiva per detenuti, con anche basket e volley, sezioni già attive nella “San Pre”. Che peraltro ora esce dallo stesso progetto con il penitenziario, per concentrarsi sulle proprie attività.

“E poi alle nostre partite di Seconda categoria non si esaspera mai l’agonismo, in campo. Siamo fra i pochi a proporre il terzo tempo: dopo il match, si mangia e si beve assieme agli avversari”.

I biancogranata sono stati ripescati in Seconda, dopo avere perso una semifinale e una finale playoff. “Naturalmente alle partite l’ingresso è libero, il pubblico è eccellente, per questi livelli, con una media di 200 spettatori”.

Di recente c’è stata una gara di coppa veneta, contro la Sacra Famiglia, altro nome di calcio diverso. “Quella è espressione di un rione e di una parrocchia di Padova”.

Sul sito della società, le cronache delle partite sono affidate a Leo (Leonardo) Pilla, 30 anni, segretario e anche giocatore, e ogni volta che si verifica una tragedia di migranti, in mare, la riflessione inizia da lì.

Il mese scorso, per esempio, Pilla ha scritto: “E’ difficile concentrarsi su una partita di pallone all’alba dell’ennesima strage nel Mediterraneo. La mattina non mi parla d’altro, l’orrore è servito. In un clima di totale confusione, a farne le spese sono sempre i più deboli, coloro che disperatamente cercano un orizzonte, una speranza, che vanno orribilmente incontro alla morte, senza nemmeno rendersene conto”.

Pilla, di professione infermiere all’ospedale civile di Padova, sintetizza il pensiero della San Precario.

“La parte “civile”, la vecchia Europa, guarda, inerme, incapace di organizzarsi e di unirsi per affrontare determinate priorità. E’ una strage continua di esseri umani, che ci riporta indietro di qualche secolo. Il pensiero ricorrente è di sentirsi inutili, o quanto meno inadeguati, di fronte a tali fatti sconcertanti. Il sentimento dominante è di costernazione”.

La matrice politica del San Pre è assortita.

“Pensiamo a un’idea di sport inclusiva – spiega Pilla -, slegata dalle tradizionali logiche di competizioni per vincere a tutti i costi. Siamo una polisportiva antirazzista”.

E per questo mira a inserire anche un portiere malese di 20 anni, Madi, che si allena con il San Precario. “Non ha la residenza italiana, perciò la Figc non permette di tesserarlo. Studia, al pari di tanti ragazzi che salgono dal sud e poi vengono a giocare con noi”.

Esiste anche una parte leggera dei resoconti, per esempio con le azioni a centrocampo di Panzuto Panzella, all’anagrafe Federico Panzella, studente di 21 anni.

Prende tutto sul serio, invece, l’allenatore Franco Cerilli, vicecampione d’Italia con il Vicenza, nel ’79. “Neanche abbiamo parlato di compenso, è al minimo sindacale, per un allenatore di seconda categoria”, sottolinea il presidente Mastellari.

Veneziano, di Chioggia, Cerilli era un centrocampista mancino, arrivato anche all’Inter, da calciatore.

“A Vicenza e a Padova – spiega – avevo toccato il top della carriera. L’Appiani è speciale, ma pure l’antistadio, il Monti, dove mi allenavo un quarto di secolo fa”.

Cerilli prende l’avventura molto sul serio, ma sul piano sportivo.

“Rispetto le loro idee, quando uno fa il sociale merita sempre approvazione, però io sono venuto qui come un uomo di calcio, per allenare. Mi mancava il profumo dell’erba, di provare un divertimento di cui sento ancora il bisogno, da quando avevo 10 anni. A Chioggia ho una scuola calcio, è gratificante vedere bimbi di 5-7 anni imparare a giocare, specialmente chi è portato, però la partita è un’altra cosa”.

Anche a livello quasi amatoriali.

“La domenica è sempre bello mettersi alla prova, persino arrabbiarsi con l’arbitro. Al massimo ero arrivato in Promozione, ma per mia scelta, perchè ero sempre voluto restare nel giro di 30-40 chilometri, fra casa e campo. Non volevo fare il professionista con la vigilia, adesso con i bauli. Comunque sono per far crescere il San Precario, con la mia esperienza”.

A 62 anni, Cerilli è in pensione. “Mi godo le nipoti”. Giorgia (9 anni) e Virginia (6). E anche loro, crescendo, diventeranno tifose del padre e di tutti i ragazzi del San Precario e di questo progetto esemplare.

 

 

 

 

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