Gazzetta di Parma, libri: Gigi Garanzini ne “Il minuto di silenzio. La storia del calcio attraverso i suoi eroi”. “Dalle Langhe, vengo presto a Parma, alla corale Verdi. Il partitino con Silvio Smersy e Alberto Michelotti, 40 anni fa, nel retro del Tardini. Una settimana dopo l’incidente a Gaetano, morì anche il padre di Scirea.

Gaetano Scirea morì a 36 anni: una settimana dopo, scomparve anche il padre (juventus.com)

Vanni Zagnoli

La tragica scomparsa di Tarcisio Catanese, morto d’infarto a 49 anni, starebbe perfettamente ne “Il minuto di silenzio. La storia del calcio attraverso i suoi eroi”.
Perchè il libro di Gigi Garanzini (Mondadori, 18 euro, 217 pagine) è davvero la Spoon River del pallone, scritto da una penna raffinata del giornalismo sportivo.
C’è proprio una collina immaginaria, una Superga dell’anima nella quale riposano tutti gli uomini che hanno fatto la storia del calcio. Garanzini per la verità mischia campioni indimenticabili a quasi sconosciuti, storie comunque epiche e memorabili. Alcuni rappresentano un momento chiave della storia del calcio, uno snodo. Quei 135 nomi, letti tutti d’un fiato, procurano pathos.
Si parte con Danilo (portiere della Chapecoense) e George Best, Gaetano Scirea e Matthias Sindelar, Cesarini e Garrincha, Gianni Brera e Di Stéfano, Boškov e Leônidas da Silva. L’occhio va sui meno noti, lo spagnolo Juanito lo era, un bell’attaccante, morto in incidente stradale. E poi Lucien Laurent, José Andrade, Eduard Streltsov, Obdulio Varela. E chissà chi erano Gigi Peronace e Adolfo Pedernera. E Joseph Mwepu Ilunga? E Mario Filho?
Insomma l’indice diventa a tratti un indovinello, come fossero figurine. Senza dimenticare almeno un intruso, Raf Vallone, attore ma in gioventù calciatore, del Torino.
Sono i caduti di un mondo che non esiste più, soppiantato dal calcio di oggi, tv e social. Vengono raccontati con ritratti brevi, folgoranti, con aneddoti spesso ignoti. Fra gli ex crociati c’è solo Cesare Maldini, scomparso un anno fa, allenatore di uno dei Parma più amati, a fine anni ’70.
“I miei ricordi personali della città ducale – riflette Gigi Garanzini – sono antichi. Una quarantina d’anni fa, quando passavo di lì, magari a mezzogiorno, mi invitavano Silvio Smersy (scomparso nel 2001, ndr) e Alberto Michelotti, per il partitino, al Tardini o nel retro del campo. Proprio così, al maschile, neanche la partitina”.
Com’è nata l’idea di questo libro?
“Da un amico e collega, Nicola Filippone, oggi a Il Sole 24 Ore. E’ un irpino creativo, 7-8 anni fa mi suggerì di scrivere questa Spoon River. Pensai che fosse scemo come un cavallo, gli dissi di no un paio di volte, in maniera presuntuosa, ma poi cominciai a tirar giù dei nomi. Ne avevo in mente un centinaio, fra italiani e stranieri, siamo andati oltre e ne mancano ancora. Ma non vuol essere un’enciclopedia, è normale lasciarne fuori alcuni”.
Tutta gente che non c’è più.
“Sono campioni della storia del calcio, ma tanti altri hanno lasciato una traccia tecnica o umana, o semplicemente per una fine sventurata”.
Sono con i numeri romani, vecchia maniera: 131?
“Per la verità 135, poichè 4 sono doppi. Ho messo assieme i giornalisti Nicolò Carosio e Beppe Viola, Enrico Ameri e Sandro Ciotti, che in fondo avevano passato la vita insieme. E poi Carapellese e Colaussi, ali sinistre accomunate dalla legge Bacchelli, richiesta a fine ’80 dalle famiglie, ovviamente in maniera serapata. E anche una coppia di calabresi: Angelo Mammì, autore di un gol storico alla Juve, nel ’72, valso la prima vittoria in serie A del Catanzaro, e Gigi Marulla centravanti del Cosenza. Entrambi hanno giocato quasi solo in Calabria, vivendo buone carriere molto simili”.
Fra gli stranieri alcuni sono sconosciuti…
“Ci sono un norvegese e un tedesco dell’Est, alcuni sudamericani e lo spagnolo Làngara. Rammento Bruno Neri, mediano della Fiorentina, arrivato 3 volte in nazionale, prima del mondiale di Francia. Nel ’31, all’inaugurazione dello stadio Giovanni Berta, oggi Franchi, a Firenze, fra gli squadristi del tempo, tutti erano con il braccio teso. Meno lui, che lo tiene giù. Venne arruolato, da un comandante partigiano, e ucciso dai tedeschi in montagna, mentre organizzava un lancio. Insomma, non è stata una vita sprecata, si era costruito il suo antifascismo”.
Al punto che gli hanno intitolato lo stadio di Faenza. Garanzini, ma quando sarà a Parma?
“Mi hanno invitato a un evento con la Corale Verdi, spero già questo mese”.
Debuttò a La Notte, passò al Corriere della Sera e alla Voce di Montanelli.
Scrive sulla Stampa. Altre collaborazioni?
“A 69 anni, mi basta il commento al calcio, 3-4 volte la settimana”.
Per una dozzina d’anni ha condotto su Radio 24. Ma quanti libri ha scritto?
“Questo diciamo che è il 5°, poi ci sono state alcune collaborazioni”.
E’ biellese, abita sempre in Piemonte?
“Sì, in Langa. Ho un vigneto nel Barolo, a Monforte d’Alba, provincia di Cuneo, sulle colline”.
E’ lì che Garanzini ha partorito Il minuto di silenzio. Con dedica particolare: «A Leo Messi, che ha ricreato gli incanti di ieri anticipando quelli di domani». E l’ispirazione di Eduardo Galeano, con il suo «Splendori e miserie del football».
Quando Garanzini scrive di Garrincha, si rifà alla monumentale biografia di Ruy Castro. Per il colonnello ucraino Lobanowski, ricorda l’ingiusta eliminazione della sua Urss al mondiale dell’86, per mano del Belgio, poi semifinalista. Di Scirea racconta la carriera esemplare. Sulla morte in Polonia, in incidente d’auto, c’è una riga. Ma in pochi sanno che “sette giorni dopo, stroncato dal dolore, toccò a papà Stefano”.

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