Il Calciatore. Emanuele Giaccherini e il bello di essere uno e 67: “Fossimo alti non ci noterebbero. A 23 anni rischiai di lasciare il calcio professionistico, è fondamentale attorniarsi delle persone giuste”

L’integralità del racconto di Giaccherini, pubblicato su Assocalciatori, il mensile, recuperando anche da nostre vecchie chiacchierate

Vanni Zagnoli

Il Giak è un nostro vecchio amico. L’avevamo intervistato più volte, da quando si è rivelato, anche di persona, a Cesena, in mixed zone, per radio nazionali. Giak è un grande, ha giocato da titolare Euro 2012, con Prandelli, e il ’16, con Conte, gli è mancato giusto il mondiale in mezzo, nel Sunderland era un po’ sparito dai radar azzurri. 

Giak è un piccolo grande uomo, un guizzante eclettico, un bravissimo ragazzo, uno che avrebbe meritato di rivelarsi prima, uno che a 35 anni (a maggio) resta parecchio competitivo. Uno e 67 per 60 chili.

A metà febbraio ha segnato una doppietta doppietta alla Salernitana pochi giorni più tardi ha parlato un’ora abbondante con gli alunni di prima e seconda media dell’istituto comprensivo di Dossobuono, nel Veronese, assieme a Daniel Frey (attaccante esterno della primavera= e ad Alessia Pecchini, difensore del Chievo Fortitudo women.

Organizzato dal responsabile del progetto “giovani cronisti” Patrizio Binazzi, il convegno si è sviluppato intorno al tema «La comunicazione nello sport – Un linguaggio rispettoso». Di fronte, i tre gialloblù si sono ritrovati 240 alunni accompagnati dagli insegnanti scolastici. Ognuno di loro ha sviluppato il tema portando agli studenti le rispettive esperienze sportive: Alessia collabora con la Figc come psicologa sportiva.

Emanuele porta esempi diretti della carriera, spiega come è riuscito a superare momenti difficili che l’hanno fatto dubitare di poter fare della sua passione calcistica il suo lavoro, soprattutto in gioventù, facendo capire ai ragazzi quanto sia importante affrontare qualsiasi negativa: “E’ fondamentale ascoltanre i consigli di persone fidate che in quel momento possono avere più esperienza”. 

L’esterno di sinistra del Chievo raccontato anche i differenti modi di comunicare di alcuni dei suoi ex allenatori: da Prandelli a Donadoni, fino a Conte e Sarri: «Fa piacere vedere una così alta partecipazione attiva da parte di ragazze e ragazzi, attenti a quanto racconto, probabilmente perché vivono esperienze simil. E’ fondamentale e delicato il compito che hanno gli insegnanti a scuola e gli allenatori di tutti gli sport, riuscire a comunicare nel modo più corretto i giusti messaggi a quest’età è troppo importante. Io ho avuto la fortuna di conoscere tanti allenatori, alcuni dei quali ex giocatori di livello, e mi sono sempre relazionato bene con tutti di loro, seppure a volte uno stile comunicativo fosse differente da quello che io intimamente preferivo”. 

Giaccherini ricorda il passaggio più difficile. “A 23 anni, pensavo di smettere di cercare di diventare un calciatore professionista, perché non vedevo sbocchi per la carriera. Volevo tornare a casa mia, a Talla, in provincia di Arezzo, e continuare a giocare a calcio solo per passione, pensavo di mettere a frutto il diploma di perito meccanico ottenuto alle scuole superiori. In quei momenti, chi mi era vicino ha saputo dirmi le cose giuste, al momento giusto. Non ho mollato e ho avuto la mia occasione. E da quel momento ho iniziato a realizzare il mio sogno di diventare un calciatore professionista, fino a indossare da protagonista la maglia della nazionale”.

Applausi, ovvi, quasi un pizzico di commozione.

“Se c’è un insegnamento che si può trarre dalla mia storia, se tu capisci che devi sempre dare tutto te stesso per ottenere l’obiettivo che ti sei dato, niente è irraggiungibile. L’augurio che faccio a tutti questi ragazzi è proprio questo: a scuola, nello sport, ma in generale nella vita, cercate sempre di capire chi vi può dare i giusti consigli. Ascoltateli e date sempre il massimo in qualsiasi campo. Così facendo conquisterete i vostri obiettivi, qualsiasi essi siano». 

Un altro bel round dialettico di Giaccherini era stato a fine ottobre.

«Gli ultimi mesi sono stati difficili, non ero mai retrocesso nella mia carriera. È stato dolorosissimo, allo stesso tempo però il calcio mi ha insegnato a rialzarmi davanti agli infortuni, alle tribune, alle categorie inferiori con cui ho dovuto convivere. Non potevo andarmene, non potevo chiudere così. Prima devo riportare il Chievo dove l’ho lasciato».

E’ fresco di terza paternità, Edoardo è nato proprio 5 mesi fa. E’ stato l’uomo dei due scudetti con la Juve di Antonio Conte, agli Europei di Polonia e Ucraina debuttando contro la Spagna campione del mondo di Iniesta e Xavi, mentre in Francia 2016 fu il migliore in campo, gol compreso, contro il Belgio di De Bruyne (fenomenale a Madrid con il Manchester City) e di Hazard. 

«Siamo forti – raccontava -, ci giocheremo la promozione insieme ad altre quattro o cinque squadre. C’è un gruppo importante, con vecchi e giovani già amalgamati e diventati una cosa sola. Sarà molto difficile riuscire ad andare in Serie A, ma di qualità ne abbiamo. Sta a noi giocatori di esperienza portarci dietro tutti gli altri. Dobbiamo e vogliamo assumerci delle responsabilità. Ci sono tutte le componenti per poter far strada».

Da inizio mese c’è Alfredo Aglietti, in panchina, l’uomo della promozione del Verona, subentrato a tre giornate dai playoff, e adesso al posto di Marcolini, per raggiungere gli spareggi.

Qui facciamo un salto a ritroso, al 20 giugno del 2014, quando chiacchierammo con Giaccherini durante il mondiale di Brasile.

In un mondo di dichiarazioni concordate, da anticipare alla mail dell’addetto stampa o dell’intervistato, Emanuele Giaccherini rappresenta una bella eccezione, perché non ha difficoltà ad ammettere di essere espatriato per soldi. Non per scelta di vita, progetti o amenità del genere.

Giaccherini, però il trasferimento al Sunderland le è costato il primo Mondiale.

«Non credo sia dipeso da quello, rifarei la scelta, d’accordo con il procuratore Furio Valcareggi, figlio dell’ex ct Ferruccio».

In un anno è passato dal gol al Brasile alla Confederations cup e da indispensabile per Conte e Prandelli a escluso addirittura dai 30…

«Ho lasciato la Juve solo perché il compenso era triplicato. Sono sotto contratto sino al 2017 e felice di rimanere».

Però avete rischiato la retrocessione.

«Ce l’abbiamo fatta alla penultima giornata, recuperando dopo l’esonero di Paolo Di Canio. Siamo vicini al confine con la Scozia, là si vive bene».

I suoi cinque gol nella Premier league non hanno tuttavia persuaso Prandelli.

«L’esclusione mi ha deluso, ovviamente ogni atleta nel giro sogna il mondiale. Resto grato al ct per avermi valorizzato. In azzurro do sempre il massimo, rappresento la nazione».

Come ha superato lo scoramento?

«Sono stato in vacanza a Parigi, a Montecarlo, poi a casa mia, nell’Aretino. Ho smaltito l’amarezza al telefono, con l’amico Alberto Gilardino. Ci siamo rincuorati a vicenda, siamo affezionati alla nazionale».

Il ct vi aveva telefonato?

«No, ma aveva anticipato che non avrebbe chiamato nessuno».

Nel 1994, l’Italia divenne vicecampione del mondo, in Usa, sconfitta ai rigori dal Brasile, eppure Gianluca Vialli dichiarò di tifare per la Scozia, peraltro non qualificata ai mondiali. Assieme al portiere Walter Zenga, era stato escluso da Arrigo Sacchi: leggenda vuole per un tovagliolo riempito di formaggio a tavola… Anche lei cambia bandiera?

«Mai. Da bambino ho sempre tifato Italia, sono fiero di avere contribuito alla qualificazione. Ho segnato al Brasile in Confederations e nelle amichevoli precedenti, con Nigeria e Haiti. A marzo, in Spagna, ero subentrato per gli ultimi 25’. Vorrei rientrare nel gruppo per gli Europei di Francia del 2016, le motivazioni restano altissime».

E così fu, in effetti, Giaccherini ritornò a Udine, di nuovo con la Spagna, era il marzo del 2016, uno a uno. Altre tre amichevoli e 4 gare intere all’Europeo: il 2-0 al Belgio, raccontato, l’1-0 alla Svezia, il riposo e poi il 2-0 alla Spagna, negli ottavi, sino alla resa nei quarti, ai rigori con la Germania. A Bordeaux, a 31 anni, si è chiusa la carriera azzurra di Giaccherini.

Vale la pena riannodarla, per un attimo. In serie C2 a 19 anni, a Forlì, con il primo gol, e poi un biennio a Bellaria-Igea Marina, sempre in Romagna. Poi il Pavia, con promozione in C1. Nel 2009 lo switch fondamentale, il passaggio al Cesena, in B. Il resto è storia, 8 gol, 7 in A con la salvezza, il salto alla Juve, 40 presenze in due campionati, 4 gol. Il biennio al Sunderland, una signora stagione al Bologna (7 gol con Donadoni), quindi il Napoli, un anno e mezzo con troppa panchina, con Maurizio Sarri. Al Chievo è tornato titolare ma è retrocesso.

Mille volte abbiamo ricamato sulla sua altezza, in particolare a Cesena.

«Noi piccoletti giochiamo meglio,  palla a terra. A metà stagione è arrivato Rosina, alto come me».

Il più basso del nostro calcio resta Giovinco, che aveva debuttato in nazionale. “Fossimo uno e 80, nessuno ci noterebbe».

E’ proprio così, caro Emanuele. I brevilinei piacciono. A Prandelli, in particolare, a Conte, molto meno a Lippi, che in Sudafrica 2010 puntò su Iaquinta e su Pepe, non così di classe ma ben strutturati fisicamente, al pari di Marchisio. Giaccherini è tifoso dell’Inter, siamo convinti resterà nel calcio, è troppo applicato e serio per non essere apprezzato. Intanto, gli auguriamo molte altre stagioni. Chissà, magari farà come Zola, arrivato a 39 anni, in serie A, con il Cagliari. Al Chievo si è fermato per infortuni muscolari, adesso sta bene e può reggere altri 4 campionati. Chissà se vorrà chiudere magari in B, in anticipo, o se scenderà in D, di fatto equivalente alla serie C2 da cui è partito. 

Lo chiamavano il Messi toscano, ha qualche movimento in comune con l’argentino, in nazionale si era fatto largo con un presidio feroce della fascia sinistra, nel centrocampo a 5. E’ all’11° campionato di fila a buoni livelli, uno dei giocatori più continui del nostro calcio. Un eclettico e frenetico. Spettacolare.

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