Il Messaggero. Morto Pietro Anastasi campione d’Europa a 20 anni

(ilfattoquotidiano.it)

Pietruzzu se n’è andato ieri sera, a 71 anni, stroncato da un tumore scoperto a fine 2018. Pietruzzu era Pietro Anastasi, catanese simbolo del sud, alla Juve. Campione d’Europa a 20 anni, da titolare nelle due finali servite per superare la Jugoslavia, con l’Italia di Ferruccio Valcareggi, ma poi costretto a saltare il mondiale del 1970 per 
un colpo al basso ventre datogli per scherzo da un massaggiatore: venne operato ai testicoli e al suo posto, per Messico 1970, il ct triestino chiamò Boninsegna, che contribuì a trascinare l’Italia alla finale persa con il Brasile, e anche Pierino Prati. Gli azzurri non si qualificarono per l’Europeo, allora a 4, mentre al mondiale del ’74 uscirono al primo turno, con Pietruzzu titolare ma a segno solo con Haiti. Furono fatali il pari con l’Argentina e soprattutto l’1-2 con la Polonia. Anastasi chiuse in azzurro a fine ’74, nel 3-1 subito dall’Olanda in qualificazione a Euro ’76. Aveva 26 anni, età alla quale in tanti magari si affacciano, in azzurro.
Lui il meglio lo diede da giovanissimo, appena maggiorenne nel Varese, promozione e storico 7° posto in A, con 11 reti da debuttante, e all’epoca si giocava a 16 squadre e le difese erano più ermetiche. A 20 anni passò alla Juve per 650 milioni di lire, fu il calciatore più pagato al mondo di quel decennio. Il re del mercato Italo Allodi l’aveva in mano per l’Inter, intervenne Gianni Agnelli, approfittando del vuoto di potere nel passaggio fra Angelo Moratti e Ivanoe Fraizzoli. «Mi voleva da mesi – raccontò Anastasi -, dalla tripletta segnata proprio alla Juve». L’avvocato mise a contratto anche una fornitura di compressori per i frigoferi della Ignis, l’azienda del presidente varesino Giovanni Borghi, che vinse tanto nel basket. 
Anastasi era il simbolo degli operai che dal sud arrivavano alla Fiat, ne sintetizzava il riscatto sociale. Da bambino era stato raccattapalle allo stadio Cibali di Catania, chiese una foto al suo idolo, il gallese John Charles. A Torino segnò 130 gol in 303 partite: “Le sue reti in acrobazia – lo ricorda la Juventus -, lo spirito da lottatore lo rendono un idolo, capace di exploit indimenticabili, come i 3 gol segnati alla Lazio in 4 minuti in una gara iniziata dalla panchina. Un amore che lo stadio Comunale tradusse con lo striscione con la scritta: “Anastasi Pelè bianco”. 
Giocava in coppia con Roberto Bettega e assieme sfruttavano gli assist di Causio, altro meridionale entusiasmante. Vinse tre scudetti e capocannoniere della coppa delle Fiere, il terzo trofeo europeo dell’epoca, 10 gol in 9 partite, con la finale andata al Leeds, sui bianconeri, imbattuti. Nel ’76 andò all’Inter per 800 milioni più Boninsegna, l’affare lo fece Boniperti perchè Anastasi aveva perso brillantezza. Un biennio in nerazzurro e poi tre stagioni all’Ascoli, nella seconda contribuì con 5 gol al quarto posto con Gb Fabbri, che allora neanche portò in Europa. Chiuse a Lugano, primo grande giocatore a trasferirsi in Svizzera, in serie B, e lasciò a 33 anni. Lavorò poi nel settore giovanile del Varese e fece la seconda voce per Telepiù, l’opinionista per 7Gold e per Telelombardia, con quella sua voce profonda. Si autodefinì falso nueve ante litteram: «Ero un uomo d’area che sapeva anche manovrare, a mio agio spalle alla porta. Uscivo a fare il trequartista, a inventare cross e assist, a cercarmi gli spazi». 
Secondo Vladimiro Caminiti, mito di Tuttosport, aveva “più estro che tecnica, più possesso fisico dell’azione che senso tattico: caccia il gol come uno stallone la femmina». 
Lascia la moglie Anna, i figli Silvano e Gianluca. Assieme a Totò Schillaci, è stato il calciatore siciliano più popolare.
Vanni Zagnoli

Da “Il Messaggero”

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