Oggi. Il ricordo di Felice Gimondi a firma di Francesco Moser: “Caratterialmente eravamo agli antipodi, vinceva risparmiando energie. Quella volta in cui facemmo male ad aspettarlo dopo una caduta perchè vinse”

Gimondi, Moser e Merckx (ildolomiti.it)

La prima stesura della chiacchierata con Francesco Moser per “Oggi”, poi diventata articolo a firma sua

Francesco Moser prepara la vendemmia, a Trento, risponde al telefono dal trattore. «E proprio sul cellulare – racconta – ho l’ultima foto scattata con Felice, eravamo con Beppe Saronni e insieme avremo vinto più di 500 corse. Si era a Courmayeur, alla tappa che ha deciso il Giro, in cui l’ecuadoregno Carapaz prese le maglia. “Non vado più in bicicletta – mi confessava -, non mi sento sicuro”, tanto che aveva iniziato a usare la bici elettrica». 

Era fine maggio e quel giorno il pensiero di Gimondi era andato anche a Gianni Motta, l’altro rivale degli anni ’60 e ‘70. «”Che abbia cura di sè” – diceva Felice -, c’era un anno di differenza tra i due e anche Gianni aveva dovuto fronteggiare qualche acciacco. Ma ora siamo qui, a piangere la scomparsa di Felice».

Il primo ricordo che accompagna Moser a Gimondi è del ’74. «Fu lui a vincere la Milano-Sanremo. Due anni più tardi mi aggiudicai la cronometro di Ostuni, il Giro però andò a Gimondi, per la terza volta, e allora era con la Bianchi: correva al risparmio, non mollava mai, nessuno gli dava peso eppure vinceva regolarmente. In quel 1976 cadde, sembrava essersi rotto qualcosa di serio, in gruppo lo aspettammo e fu primo, grazie alla cronometro fra Arcore e Monza. Siamo sempre stati avversari, alla fine l’ho superato, almeno come numero di maglie rosa in assoluto».

Nel ’73, Gimondi fu campione del mondo, al Montjuic, in Barcellona. «Con Nino De Filippis ct. Battè in volata il più grande, Eddy Merckx, e non era la sua specialità. Senza il belga, avrebbe vinto tanto di più. Nel ’77 fui io a indossare la maglia iridata, a San Cristobal, in Venezuela: Alfredo Martini aveva designato me come capitano, mi fece da gregario e solo i grandissimi sanno adattarsi».

Gimondi lasciò nel ’78, al giro dell’Emilia. «Ci si ritrovava spesso ai circuiti degli assi, eravamo le vedette, anche 30-40 volte l’anno e adesso al massimo ce ne sono uno-due».

Moser conserva le pagine dei giornali e i manifesti di quegli anni. «Entrambi siamo poi stati membri dell’Uci, l’unione ciclistica internazionale, spesso si viaggiava insieme, da Bergamo a Losanna. L’ultima volta che pedalammo assieme fu invece in Austria, per festeggiare i 70 anni di Merckx, che peraltro utilizzava la bici elettrica. Eravamo in parecchi, fra gli ex campioni del mondo: “Conosci le strade, vieni con me”, mi pregò Felice. Spesso è stato qui in cantina, per le feste che organizzavo, e gli davo sempre il mio vino».

Nella classifica dei corridori italiani di ogni tempo, Moser lo colloca al quarto posto. «Potrebbe essere Binda, Coppi e Bartali, poi Felice, io e Saronni. Nibali? Vedremo quando smette».

A carriera finita, Gimondi fece l’assicuratore. «Me ne parlava quando andavamo in macchina assieme, andava ancora in ufficio».

Due anni fa, la figlia Norma si candidò alla presidenza federale, venendo sconfitta da Renato Di Rocco. «Mi ero candidato anch’io, anni fa, ma non faceva per noi, c’era troppa politica».

Caratterialmente, Gimondi era molto diverso da Francesco. «Molto più calmo, mentre io ero nervoso, mi facevo prendere dai 5’. Era più adatto alle corse a tappe, sapeva aspettare e senza spendere tanto si aggiudicò anche un Tour e una Vuelta di Spagna. La sua ultima volta in Francia fu nel ’75, quando io indossai le mie 7 maglie gialle, finii comunque dietro di lui, sesto contro settimo». Moser all’inseguimento di Gimondi, prima dei duelli con Saronni. Epocali.

Vanni Zagnoli

Da “Oggi”

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