Ilmessaggero.it e ilmattino.it. Ciclismo, Elia Viviani: «Per il Mondiale favoriti Van Aert e van der Poel, ma Bettiol o Trentin possono sorprenderli»

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di Vanni Zagnoli

E’ dal 2008 che l’Italia non vince il mondiale di ciclismo, i 14 anni di digiuno avvicinano al ritardo record, fra il 1932, con il terzo oro di Alfredo Binda, e il 1953, con Fausto Coppi. Quei 21 anni in realtà sono proprio 14, dal momento che 7 edizioni non furono disputate, per la seconda guerra mondiale.

Elia Viviani, in Australia si può vincere, domenica mattina?

«Ci proviamo», risponde il veronese, oro olimpico di Rio, in pista, e portabandiera con Jessica Rossi a Tokyo, in cui ha vinto il bronzo. E’ a Trento al festival della Gazzetta dello sport.

Lei ha disputato 4 mondiali, il primo nel 2011. Perchè da 5 anni non rientra più nelle convocazioni?

«Il percorso sembrava facile, invece è molto duro, troppo per le mie caratteristiche. Il tratto in linea è molto impegnativo, c’è una salita di 7 km che può accendere la gara. Sono 278 km, assieme alla Milano-Sanremo è una delle corse più lunghe della stagione».

Come tutti i mondiali. Ma a quanto dal traguardo si può risolvere?

«In distanze del genere, può essere decisivo anche lo strappo di un chilometro. C’è un’altra salita di uno e mezzo, con pendenze molto ripide, l’ultima è a 7 km dall’arrivo e può lanciare un corridore da classiche, come Bettiol o Trentin, o naturalmente gli stranieri, il belga van Aert, l’olandese van der Poel e Alaphilippe».

Il francese viene dall’oro a Imola e da quello delle Fiandre. 

«Il tracciato di Wollonlong ricorda quello belga di un anno fa, la distanza e gli strappi corti ma ripidi valgono da trampolino di lancio verso la maglia iridata».

Quasi sempre l’Italia fa la corsa, poi però resta tagliata fuori dall’allungo decisivo.

«La nazionale ha preparato il mondiale al meglio, auguro a Bettiol, a Trentin e a chi volesse puntare al podio di riportare il mondiale nel nostro Paese».

A 42 anni, Daniele Bennati non è troppo giovane, come ct? Come quando Paolo Bettini venne nominato a 36, alla morte di Franco Ballerini?

«No, ha fatto una carriera perfetta per il ruolo, compreso l’avvicinamento, ideale. Ha vinto tappe in tutte le grandi corse, sul finire è stato fondamentale per Basso alla Liquigas e nelle squadre di Contador. E poi gli anni alla Movistar, a supporto di Valverde. Era diventato un gestore di squadra, il capitano che riesce a portarla in alto».

L’Italia è la più forte, come sempre?

«Nel complesso è forte, non partiamo però favoriti. Guardiamo a quei due fenomeni di Belgio e Olanda, possiamo contrastarli e inventare qualcosa di bello per arrivare primi».

Filippo Ganna è stato 7° nella cronometro. Neanche lui è invincibile?

«Nessuno lo è. Purtroppo non si può solo vincere».

Da “Ilmessaggero.it” e ilmattino.it

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