Libero. La prima stesura dell’intervista a Nicola Rizzoli, raccolta a Parma

Vanni Zagnoli
Parma
Stasera il miglior arbitro del mondo, Nicola Rizzoli, farà l’addizionale in Roma-Inter. In settimana ha ricevuto il premio sport e civiltà, a Parma, come atleta dell’anno.
Rizzoli, che effetto fa essere quanto Collina un decennio fa, ovvero il numero uno al mondo?
“Non mi riesce di paragonarmi all’attuale designatore Uefa, per me è ancora un maestro, di tecnica e moderne direzioni, precursore nello studio delle tattiche. Ho cercato di prendere il massimo dai suoi insegnamenti, i risultati sono stati molto positivi. Anche se simili, abbiamo caratteristiche diverse”.
Ci sono stati momenti in cui ha meditato di smettere e fare l’architetto, la sua professione fuori dal calcio?
“Assolutamente sì. Nella vita si incontrano sempre bivi, bisogna prendere decisioni. Più di una volta avevo pensato di smettere per errori commessi, altre perchè avevo scelte da compiere. Fortunatamente le ho gestite bene e ho continuato”.
Avere diretto la finale mondiale equivale, in assoluto, a essere un calciatore di serie A?
“La designazione per Germania-Argentina non significa essere il miglior fischietto, ce ne sono tanti bravi, l’avrebbe meritata più di un pugno di arbitri. Combinazioni e fortuna mi hanno portato lì”.
Le chiedono autografi?
“E’ strano ma capita, anche di frequente, soprattutto in Italia, e questo gratifica. Facciamo uno sport in cui non abbiamo sostenitori se non gli arbitri stessi. Accade che tifosi delle squadre mi chiedano foto o autografi, anche all’uscita degli stadi”.
Ha arbitrato in quasi tutti i continenti, dov’è più piacevole fischiare?
“Amo l’Europa e l’Italia, mi piacerebbe se da noi ci fosse il rispetto per la nostra figura che vedo in altri paesi. Come cultura siamo un passo indietro rispetto ad altri paesi, resto peraltro fiero di essere italiano. Fra i migliori di oggi ci sono l’inglese Webb e l’olandese Kuipers. L’ubzeko Irmatov? Il talento può nascere ovunque, magari è abituato a dirigere davanti a soli 10-15mila spettatori”.
Le chiedono regolarmente se è mai stato picchiato. E’ successo?
“No, però momenti di tensione si sono verificati diverse volte e non è da considerare normale. Accade quando lo sport è portato all’eccesso, ma pure ai livelli inferiori e questo è ancora più illogico”.
Se un arbitro facesse atletica, quale sarebbe la sua specialità?
“Un centometrista. La carriera è talmente lunga che prima o poi, se sei bravo, ti dicono parti. Se sei rapido, parti velocemente, altrimenti qualcun altro ti sorpassa. Sul campo, per le doti fisiche, arbitrare è come disputare i 1500, perchè conta anche una certa strategia. Nel nuoto magari un 400, perchè dirigere non è solo una questione atletica”.
E’ giusta l’idea di lanciare ex grandi calciatori, nell’arbitraggio?
“Non avrebbero abbastanza tempo per fare esperienza. Ho 43 anni e un bagaglio di 26 stagioni di direzioni, ho giocato solo sino a 16 anni, negli allievi regionali, a Bologna. Chi smette anche solo a 32 anni non farebbe in tempo a raggiungere alti livelli, nel nostro mondo”.
Nel secolo scorso si arrivava anche a 52 anni. Il limite dei 45 non è penalizzante?
“Il gioco era diverso, meno veloce. Stanno provando ad aumentare l’età della pensione”.
Da Braschi a Messina com’è cambiata?
“La strada è la stessa, sono grandissimi tecnici e motivatori. La filosofia del nuovo è più improntata sullo studio e lo spostamento. Più allenatori un arbitro ha avuto, più ha imparato. In serie A avevo cominciato con Bergamo e Pairetto, poi Mattei, Collina, Tedeschi. Senza contare i designatori di serie B e C”.

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