“L’indignazione è per gli indignati”. “Nella rete di Alice”, il debutto di Alice Pignagnoli è sulle parole del presidente di Lega dilettanti Belloli, contro il calcio femminile

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(v.zagn.) E’ un caso che Alice Pignagnoli debutti in questo sito commentando l’infelice uscita del presidente di Lega Belloli. In settimana era intervenuta su radio Parma. Quando vorrà, scriverà sui temi che preferisce, anche personali. Raccontando quel che vuole, calcio e non.

di Alice Pignagnoli

Finalmente mi sono convinta a scrivere. E l’ho fatto proprio in questo momento tristemente storico per il calcio femminile in Italia, perché non si poteva non scrivere, non si poteva volgere lo sguardo altrove. Oggi che il presidente dell’associazione che ci dovrebbe rappresentare, dà voce a quello che, in fondo, é il pensiero della maggior parte degli italiani, che non hanno avuto direttamente a che fare con “l’altra metà del calcio” (come ha propagandato la stessa associazione).

Oggi che rispondo ai grandi interrogativi che mi hanno attanagliata in tutti gli anni della scalata, se così si può chiamare, ai massimi livelli del calcio femminile italiano. Quando i miei genitori, da bambina, non volevano permettermi di giocare. Quando i professori giustificavano le assenze calcistiche dei miei compagni maschi, ma non le mie.
Quando vincevo lo scudetto e avevo, sì e no, uno stipendio che mi permettesse di sopravvivere. Quando in Champions League si giocava in trasferta in stadi da 30 000 posti e in casa a chiedere permesso a una squadra di Eccellenza. Oggi so che la verità è che, per tutti, siamo solo “quattro lesbiche” in cerca di soldi.

Perché, i tanti che si dicono “scandalizzati” da questa vicenda, sono gli stessi che non hanno mai dato spazio sui media nazionali alle nostre gesta sportive, ma lo fanno ora perché ci chiamano “lesbiche”, una parola che fa audience.

Ho dovuto aspettare 11 anni dalla mia prima convocazione in serie A, per vedermi in campo in una rete nazionale, in un servizio che non fosse una diretta pagata coi soldi delle stesse società e giocatrici. Peccato che la partita in questione fosse una semifinale di Coppa Italia di tre anni fa, sulla quale, i signori che urlavano allo scandalo dallo studio della Rai, non sapevano assolutamente nulla.

Allora, se per avere un po’ di visibilità bisogna diventare fenomeni da baraccone, preferisco continuare per la strada già percorsa. Preferisco continuare a giocare il mio calcio. Quello per cui torno a casa dal mio compagno all’una di notte, dopo aver fatto nove ore di lavoro, due di allenamento e 250 chilometri. Quello che non specula su nulla, che non chiede nulla, se non altri sacrifici e passione per continuare a volare.

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1 comment

Bello articolo complimenti. Tutto giusto

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