Repubblica, l’intervista di Stefano Zaino. L’altro derby di Pedro Obiang: “Mi ha cresciuto l’Italia ma soffro per i barconi”.

(v.zagn). Questo è un omaggio personale all’amico Diego Panicucci, mental coach di un aspirante campione. L’intervista di Stefano Zaino di due settimane fa, per il derby poi rinviato.

 

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Pedro Obiang

GENOVA – Giocherà e potrebbe essere il capitano. Il primo ragazzo di colore a stringere al braccio una fascia sulla maglia della Sampdoria. Pedro Obiang, origini della Guinea Equatoriale, nato a Madrid, strappato al vivaio dell’Atletico, 22 anni, da più di sei a Genova, “ricordo la data del mio arrivo, 4 agosto 2008, quella scelta mi ha cambiato la vita”, oggi contro il Genoa potrebbe entrare nella storia blucerchiata.

Non solo di colore, titolare, persino capitano. Chissà cosa ne pensa Sacchi…
“Posso anche condividere ciò che ha detto, se la discriminante non è il colore della pelle, ma la formazione professionale. Ma io sono cresciuto calcisticamente nel vostro paese, qui ho fatto anni di scuola, sono iscritto all’università di Genova, Scienze Politiche, per la Uefa sono di formazione italiana, mi sento a casa, sono straniero quando torno a trovare a Madrid mio padre e mia madre “.

Pronto anche per la nazionale italiana?
“No, anche se in teoria potrei. Mi piace difendere le cause in cui credo. Se scegliessi la maglia azzurra, sarebbe come tradire la Spagna. Ho detto no alla Guinea, direi no a Conte”.

Questa Sampdoria invece è una causa che l’affascina?
“Soprattutto alla vigilia del derby. Sia noi che il Genoa siamo cresciuti tanto. Io ne ho giocati cinque e vinti tre, ma questo sarà il più bello, non è la sfida della paura, ma della qualità: una porta per l’Europa”.

Che significa viaggiare.
“Amo farlo, mi ritengo cittadino del mondo. Conoscere, scoprire, tentazioni irresistibili. Sono schiavo di Internet, che mi apre la mente e soddisfa la mia curiosità, non dei social. Per un compleanno i compagni mi hanno regalato un computer, ma twitto poco. Preferisco il dialogo a voce, il contatto diretto”.

Nello spogliatoio la chiamano l’intellettuale…
“Nato con Mihajlovic, per via degli occhialini. Ma anche perché studio, anche se ora, vivendo lontano da mamma, che non mi sta più addosso, un po’ batto la fiacca “.

Però s’informa e combatte il razzismo…
“Ho la fortuna di vivere in una città che non mi ha mai fatto sentire diverso. Lo ero all’inizio, non perché nero, perché non genovese. Qui la gente è strana: all’inizio è diffidente. Poi se entri nel loro cuore, ti stringe e non ti molla più. Mi uccidono quelle immagini dei barconi in tv: troppe porte aperte creano una paura ingiustificata. L’intolleranza non sempre è razzismo, è ignoranza ed egoismo. Il mondo è cambiato e certa gente ha paura di perdere il proprio status quo, il proprio benessere, anche perché qualcuno economicamente è proprio in difficoltà”.

Lei non sembra un tipo che si tira indietro. Ha anche cercato di dare una mano agli “angeli del fango” nelle recenti alluvioni.
“Da questa città sono stato cullato, normale dare qualcosa in cambio. Offrire da bere ai dipendenti della sede quando firmi un nuovo contratto, ricordandomi che a 16 anni erano loro a darmi i soldi del taxi per tornare nel pensionato in cui vivevo, dove spesso vado a trovare la mia seconda mamma, la signora Cristina, che mi faceva da mangiare, che parlava con me, quando ancora non sapevo l’italiano”.

Ora invece nel vostro spogliatoio c’è tanta Africa.
“Mandela sarebbe contento, anche se il mio idolo è Obama. Io sono pieno di modelli, vorrei la forza di mia madre, che mi ha convinto a lasciare Madrid, il coraggio di mio padre, viaggiatore, emigrante dalla Guinea, l’allegria di mia sorella, che ogni tanto viene a trovarmi portandomi una boccata d’aria spagnola. Abbiamo Eto’o, simbolo dell’Africa, e poi Duncan, Acquah, Okaka, italiano di Nigeria. Ci sentiamo e ci trattiamo da fratelli”.

Sacchi con lei può essere sereno: è stato strappato al vivaio dell’Atletico Madrid.
“Più che strappato, scartato. Come Morata. Eravamo in tanti, una miriade di squadre. Qui c’è meno concorrenza. In contrasto però con la paura di lanciare i giovani “.

Teodoro Obiang Nguema Mbasogo è suo zio ed è il dittatore della Guinea Equatoriale.
“Gli ho parlato solo una volta, quando dissi no alla nazionale. Non conosco la sua vita, non la giudico. Per noi parenti significa tribù, è diverso rispetto all’Italia. Io ho due fratelli da parte di madre. Sul fronte papà sono in doppia cifra”.

La Sampdoria vince il derby?
“Deve. Per i nostri tifosi è molto, quasi tutto. Mihajlovic ci ha preparato bene. Non possiamo tradirli”.

Dall’archivio di Repubblica, scritto da Stefano Zaino, pubblicato due settimane fa. Omaggio personale a Pedro e a Panicucci

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