La trattativa con il caposervizio e con il personaggio, il lavoro da freelance con il terrore addosso. Il mio urlo di Munch

Nel luglio del 90, iniziavo la professione alla redazione reggiana di un quotidiano. Oggi il caposervizio ha 53 anni, all’epoca mi irrideva: “Zagnoli, l’inquietante presenza di Vanni Zagnoli”. Anzi, no, era un brillante collega, oggi in pensione, un investigatore che era sulle orme dei Carretta, che si divertiva così.

Tant’è che dopo 40 mesi intensissimi, con punte di 10 articoli in un giorno solo, 8 firmati, venni congedato. Pericoloso per l’azienda, la passione dà fastidio, a certi livelli.

“Mestiere duro e affascinante”, irrideva il caposervizio di oggi.

il caposervizio dell’epoca, Gigi Zerbini, genovese classe ’49, mi disse: “Ma tu, oltre a giocare a fare il giornalista, cosa fai? Fai l’università, dai, dai retta a me”. Era un filatelico. Qualche anno fa gli ho chiesto di prendersi la sua responsabilità, di ammettere di avermi cacciato lui, respingeva la responsabilità su un’altra persona. Un bel rimpiattino.

E allora così mi congedò con una scusa, nel novembre ’93. Perchè la passione, la determinazione danno fastidio.

Perchè il troppo “struppia”, mi racconta un caro amico che poi ebbe lo stesso destino, con un’altra testata.

E’ stata la più grande sconfitta della mia vita, che potevo gestire in maniera diversa.

La difficoltà del mestiere di freelance sta tutta nel trovare un punto di incontro fra la propria vita, il caposervizio e il personaggio da intervistare. Perchè a me si chiede il difficile, ben scritto, in esclusiva, rapidamente. E più la redazione è ristretta, più i ritmi sono elevati e dunque all’interno sono sotto pressione.

E se la redazione è ampia e di grande testata c’è lo schermo per la firma inflazionata, il budget, la non grande qualità di scrittura. Perchè bisognerebbe che io fossi un autore comico, invece sono un autore scolastico e razionale.

A me viene in mente Franco Dal Cin, che a Ernesto Pellegrini disse: “Vuole che portiamo Zico? No, abbiamo Brady”.

Ecco, io vivo ogni tanto questa situazione.

Memorabile quella volta che proposi una storia, arriva l’ok dal caposerviio, ma alle 16 mi dissero di affidarla a un redattore, per evitare di fare tardi nella chiusura. Quel pezzo non mi è mai stato pagato, nè è mai arrivato un pezzo compensativo.

Altra situazione, con una radio. Propongo di intervistare il personaggio che ho appena pubblicato per iscritto. Offro il contatto, anticipo il contenuto dell’intervista, chiedo di essere citato in onda e che il pezzo mi sia pagato anche se l’intervista in quanto tale, per un discorso di qualità del suono, sarebbe stata affidata a un redattore. Anche lì: “Chiedi che ti vengano pagati i numeri di telefono, i contatti”.

No, mi occupo di tutto, escluso della registrazione pura, al telefono. Vanno in onda 30-40″, si leva la voce della domanda, si mette solo la risposta.

La morale è ore dedicate, ansia, paura e il restare così, con nulla in mano.

Altre situazioni vissute con un’altra redazione.

“Bella idea, ma la deve fare un redattore”.

C’è un discorso di visibilità, di budget, ma semplicemente di un caposervizio che vuole privilegiare la redazione.

Scrivo all’ufficio stampa della tal società, perchè quel caposervizio mi chiede di sondare prima la possibilità di realizzare le mie interviste, il capoufficio stampa sonda la disponibilità, mi dice “ti faccio sapere” e poi avverte direttamente il caposervizio.

Che ovviamente non mi avvisa. Mi auguro che in riunione abbia detto che l’idea era mia, non è scontato.

La morale è molto semplice. Se io fossi un personaggio, sarei richiesto e trattato con grande attenzione. Così, invece, finisco stritolato nella morsa fra caposervizio e personaggio e ufficio stampa.

Ufficio stampa, ecco.

La redazioni di primo piano sono inseguite dagli uffici stampa, da parte dei personaggi, i freelance vengono evitati.

Il capufficio stampa di una società sportiva mi dice: “Sei l’unico che in mixed zone cerca di andare oltre la partita”. A me non pare proprio. Anzi, c’è un grandissimo collega, Francesco Saverio Intorcia, di Repubblica, che in mixed ho sentito fare presto, pochi anni fa, belle domande a personaggio, ai campioni del Bologna. F.s.i, un primattore di Repubblica, un fuoriclasse. Un sannita arrivato al gotha del giornalismo.

Con tutte queste cose, potrei scrivere un libro, il collega Cristiano Tassinari, oggi a Tvqui, a Modena, l’aveva pubblicato, anni fa. E’ un ferrarese, che è stato anche a Quartarete, Torino.

Venne assunto e pubblicò. Una cara collega mi consigliava di fare la stessa cosa.

Meglio di no, perchè già è difficile lavorare da freelance, figurarsi poi se racconto i particolari del lavoro.

Amo nomi e cognomi, non li faccio, è pericolosissimo.

Negli ultimi mesi facevo un nome e cognome di un collega che mi irride dentro e fuori onda, il risultato è stata una squalifica da parte di una redazione.

Poi c’è un alro bel tema. Se l’intervista è critica, o vagamente critica o comunque contiene uno spunto che può mettere a disagio il personaggio nei confronti della società o di qualcuno, insomma se c’è un titolo troppo tirato, esagerato, il personaggio se la prende con me e minaccia di chiudere il rapporto.

E poi c’è la minaccia di querela. “Se arriva, la tua collaborazione è congelata”.

“Ma come, mi hai pregato tu, di aggiungere questo”. “Se arriva, non posso che congelarti”. Non è arrivata, non è stato piacevole.

Ultimo racconto. Una volta vado a trovare una redazione, il caporedattore mi dice: “Vanni, dove vai. Mi ciondoli davanti. Sappi che sono l’unico che ti può dare spazio”.

In realtà per quella testata scrivo dal ’95, ci sono volti mai visti, voci sentiti tanto al telefono. Colleghi letti, apprezzati, occasioni uniche di dare un volto a una voce.

A un certo punto quegli mi dice: “Dai, chiamo il tale e il tal altro, adesso. Vi metto gli uni contro gli altri, è una guerra fra poveri”.

E rideva. Indimenticabile. Mai subita un’umiliazione così.

Poi mi disse che non era in giornata, poi negò di avere pronunciato quelle frasi.

Poi mi invitò a non contattarlo più. Poi mi disse che me le ero inventate, quelle parole.

Di tutto questo parlavo con un carissimo collega, dapprima freelance, poi redattore, oggi capoufficio stampa.

“Il collaboratore per definizione è un bersaglio troppo facile”.

Ecco, la cosa più amareggiante è questa. Un bersaglio. Di ironia, di sarcasmo, di mobbing, di bossing.

Tutti temi trattati da Leonardo Alloro, medico di Albinea nel suo “Panico, tsunami della mente”.

La vita da freelance, al mio livello, significa panico, eterno.

E poi c’è la trattativa con i direttori e gli editori.

C’è lo scavalcamento del caposervizio, pericolosissimo, perchè poi scattano le ritorsioni, eventualmente.

E poi c’è la trattativa con l’editore, i grandi personaggi ci arrivano.

E poi c’è il mettere in campo la propria storia umana. “Ho bisogno di lavorare, ho figli, la mia famiglia ha bisogno. Ho moglie e due figli. Sono rimasto vedovo”.

Funziona. E’ la redazione che si mette dalla tua parte. E poi ci sono nomi e cognomi, che in tutte le redazioni si fanno, ci sono battaglie asperrime, personali, mentre da fuori.

Beh, diceva bene un ex freelance, poi redattore, amico: “Nessuno si batterà mai per i collaboratori”.

Un amico pensionato, amico da 20 anni: “Ciascuno si batte per se stesso, il cdr al massimo si batte per la redazione”.

E poi  ci sono le etichette. A me magari viene chiesto solo il difficile e in esclusiva.

Dice benissimo un amico redattore, che strameritava una carriera diversa: “Se il caposervizio decide che un altro è più bravo di te o comunque di puntare su un altro, non puoi farci niente”.

Torno ai personaggi. L’umanità è molto diversa.

C’è il grande disponibile, il piccolo personaggio che fa il prezioso.

Ci sono le interviste telefoniche vietate, c’è la richiesta di far leggere prima di pubblicare. C’è l’appuntamento telefonico disatteso. C’è il personaggio che quando è di attualità non è disponibile.

C’è la bella lezione che mi ha dato un collega 28enne. “Io non commetto il tuo errore, non mi faccio illusioni sul contratto”. Non so farne tesoro.

E c’è un grande direttore, con il quale vanto un rapporto per mail da 6 anni, ormai, che mi disse: “Tu insegui un contratto. Non voglio creare un disoccupato a 50 anni”.

No, io inseguo visibilità, considerazione, magari anche stabilità.

Non avrò mai un contratto. Chi si lamenta, come me, non piace. Meglio sorridere, ammiccare. In questo senso l’altro sesso è avvantaggiato perchè porta letizia…

Funziona come nel calcio italiano. Le panchine vengono offerte agli ultimi arrivati, a chi dà retta al presidente, agli aziendalisti, non ai professionisti navigati, che vogliono lavorare in un certo modo.

E poi c’è il fllo sottile, evidenziato bene da una splendida ragazza di Sportitalia, di recente. “Se telefono troppo spesso a quel personaggio, ottengo l’effetto opposto. Il confine con lo stalker è sottile”.

E poi c’è il discorso della chiusura, del fischio finale delle partite, della prima edizione da chiudere rapidamente, così la tensione aumenta.

E la connessione internet che allo stadio magari non va.

Da freelance, sbagli una volta, c’è pronto un collega a sostituirti.

Mille situazioni singolari.

Diceva bene Adalberto Scemma, 72enne che mi ha incoraggiato, negli anni: “Sappi che ci sarà sempre uno pronto a fare quel che stai facendo tu”.

Diceva bene un capufficio stampa: “Il tuo è un urlo contro il sistema”.

L’urlo di Munch.

E poi c’è l’attacco a effetto del pezzo. Non mi piace. Preferisco Tosatti, Sconcerti. Preferisco razionalità, banalità. Non amo la citazione storica, non la so, non mi interessa. Ci lavorerò. Ma l’apprezzo. Mi colpisce il carissimo Umberto Sarcinelli, friulano del Gazzettino del Nordest, lettore di libri persiani che spesso inizia con una citazione molto, molto ardita.

E poi ci sono i dati, i riferimenti, gli agganci, i ricordi. Vietati.

Io amo il racconto al passato, non il presente nè il futuro. Non amo l’attualità. Amo divagare. Non sempre è apprezzato.

In una redazione di un quotidiano locale mi spiegano che i miei tagli sono da periodico. “Noi dobbiamo dare notizie, notizie”.

Poi cambia il direttore e vedo una bella pagina di una storia che tale non è. Una pagina intera, naturalmente di un redattore. Una storia per nulla rilevante.

E poi ci sono i personaggi che fanno un altro mestiere e che scrivono. E li pagano da editorialisti.

E poi ci sono i contatti ostentati.

Un professionista di una professione singolare nel suo blog scrive: “Un attimo che sento il direttore”.

E poi c’è il discorso di criticare, che ho già spiegato. Ha ragione Sacchi. “In Italia, criticare con moderazione”.

Ma poi è così in tutti gli ambienti di lavoro.

C’è una frase che mi ha colpito delle ultime ore. Diego Della Valle che accusa Cesare Prandelli: “E’ abile nel creare legami mediatici forti”. Poi però scappa. O qualcosa del genere. Ma dove?

Io ci metto la faccia, mia, sempre. Non scappo.

Presto ritornerò su una vicenda che mi ha segnato molto, a fine maggio, domande in conferenza stampa che colleghi mi hanno contestato. Pubblicherò il file audio. Perchè difendo le mie scelte, sempre. Perchè il confine tra provocazione ed esagerazione è labile.

Perchè se nel dibattito televisivo si fanno allusioni, si va su temi molto delicati va bene, se lo si fa in conferenza stampa, soprattutto non ne calcio, pare la fine del mondo.

Poi c’è il discorso della società sportiva che al giornalista locale chiede di fare da cassa di risonanza alle proprie battaglie.

Il capoufficio stampa di una importante società sportive italiane, oggi vice, mi disse: “Le interviste le riserviamo ai media che condividono le nostre battaglie”.

Un amico allenatore mi disse: “Vanni, tu sei delle nostre zone, devi tenere per noi. Altrove fanno vittimismo, piangono miseria ma pagano in nero”.

Ci sono mille fuori onda raccolti, mille situazioni.

Un’ultima. I venditori, i commerciali di attività pubbliche. Cercano di coinvolgere nei propri interessi. Parlano con il giornalista perchè, senza citarli, scriva per tutelarli, per difenderli.

Anni fa i titolari di un’attività mi dissero: “Abbiamo il tal personaggio, con noi, adesso”.

Significava, se lo pubblicizzi ci fa piacere.

Gratis, ovviamente. Invece, i più abili che fanno? Aspettano, sono richiesti e si fanno pagare le consulenze.

C’è un ufficio stampa storico, in Emilia, un bel personaggio, che addirittura firmava i comunicati pubblicati anche su un quotidiano.

C’è un dato di fatto, peraltro, inconfutabile.

Negli anni lo spazio sui quotidiani e periodici è andato a diminuire. Grafiche, esigenze proprio di budget, di risparmio. E quindi per le storie, per quel che piace a me è sempre più difficile trovare spazio.

Mi raccontava un caposervizio. “Oggi se il campione della provincia nostra vincesse l’olimpiade, gli dedicheremmo forse due pagine”.

Infine, mi ha detto bene un amico ieri. “Possiamo vivere anche senza eulla storia, tu stesso anche. Non ci ho mai fatto tanto affidamento, dopo tanti mesi”.

E’ il dare senso a un impegno che è sempre più difficile.

Restano lì mail, contatti vorticosi, articoli, storie. Del resto, spesso è o intervista o niente.

C’è un capitolo che mi sta molto a cuore, il traino pubblicitario che hanno sempre più colleghi. Trattano proprio direttamente con gli sponsor. Magari grazie alla visibilità televisiva. Non l’ho mai fatto, non è il mio mestiere. Magari lo farò per questo blog, ma non ne ho voglia. Preferisco occuparmi gratis degli amici.

Ricordo Franco Dal Cin. “Povero ero e povero sono rimasto. Gli amici mi hanno sempre detto che ero avanti 10 anni”.

Mesi fa scrissi che a Reggio Emilia, se non in Emilia Romagna, ho inventato il mestiere di freelance. In una redazione hanno riso in tanti, hanno ritwittato.

Lo ripeto. Almeno a certi livelli.

E ho due vanti. Faccio pochi sconti, tantomeno ai grandi personaggi che ammiro tanto – Guidolin, Di Francesco – e non ho mai avuto nè cercato raccomandazioni.

Tantomeno ai politici.

E le battute, il coglionismo, lo lascio ai colleghi più spiritosi. Di professione faccio l’analista sportivo, l’intervistatore, anche l’analista di costume, se potessi, il critico televisivo. Il comico semmai lo intervisto.

E poi ci sono le regole aziendali, ferree, in qualche quotidiano. “Attieniti a Reggio Emilia, fai un circolino attorno alla tua terra”. “Questo non te lo posso far fare, non c’entra con le tue zone”.

E poi ci sono i pensionati ricercatissimi, sempre più ricercati.

E poi ci sono i redattori che fanno i freelance al tempo stesso.

Dai, per oggi può bastare, via.

Anzi, no, ci sono le troppe mail, proposte, contatti. Certo, se tutti facessero come me.

A un’altra bella puntata. Saluto in musica. Baci e saluti, Ivano Fossati.

E’ il mio cantautore preferito.

https://www.youtube.com/watch?v=dKA4V62dJGk&feature=kp

3 comments

Gentile Vanni, io ho smesso di fare il freelance. Il primo dei motivi che mi ha spinto a recedere dal proposito è stato il mancato rispetto dei collaboratori. Non tanto nei rapporti interpersonali quanto nei pagamenti, veramente irrisori (e parlo di testate nazionali). Oggi, pur avendo oltre 15 anni di Inpgi-2, credo di abbandonare la professione e ridare indietro il tesserino. Mi ero conquistato da solo una mia autonomia, anche umana se vogliamo. Ma in Italia non esiste la cultura dell’esterno, il freelance viene visto come l’amico dell’amico che, se bravo e preparato, può firmare qualche pezzo secondo i budget del caposervizio. Però, dopo aver notato la “fuga” di tanti freelance, nessuno si è mai chiesto perchè il giornalismo italiano è così decaduto, così alla fame e perchè non si vende nulla. Sono sicuro che un giorno saranno gli stessi editori a contattarci. Pentendosi vita natural durante dello sfruttamento perenne. Saluti.

Caro Paolo, prima di tutto un abbraccio. Mah, gli editori tendono a fare i giornali con quanto hanno, il budget per gli esterni è minimo e lì allora si innesta il discorso dell’amicizia, del rapporto interpersonale che va di pari passo con la professionalità.
Lì fa la differenza proprio la qualità. Di scrittura, che io non ho, almeno a livello nazionale. E di idee. Quelle non mi mancano. Ma poi viene l’esclusiva, la firma inflazionata e tanto altro. Uno che sta studiando la scuola di giornalismo viene prima di chi per una testata lavora dalla fondazione. Poi il taglio, la lingua, il cazzeggio. Non mollare, caro Paolo. Io sono solo privilegiato al passato e grazie anche a mia moglie, alla famiglia. Ti abbraccio. Se capiti in Emilia Romagna, fatti vivo.
Ci sono freelance di successo o comunque tranquilli, relativamente, in grandi città o piazze.

Grazie mille per la tua risposta, gentile Vanni. Ho sempre ritenuto che il freelance, oltre alle coperture domenicali, potesse offrire valore aggiunto alle pagine di un qualsiasi giornale. Oggi la figura del corrispondente non c’è più, ed anch’io rimpiango il mio passato al Gds: ero tra i pochi dal centroitalia a firmare. Lo sfruttamento delle cd. agenzie non ha portato solo alla fame dei giovani collaboratori, ma anche alla qualità – venuta meno – del prodotto cartaceo. Il lunedì non c’è un approfondimento, una curiosità, sempre la stessa storia. Perchè in pochi vanno in sala stampa, in pochi parlano con gli atleti mentre si recano al pullman. Poi nessuno si domanda: perchè i giornali non si vendono? Ecco, credo sia questo, il motivo. Il lettore vuole cose carine, accattivanti, proprio quelle che fai tu da tempo. Ma il caposervizio ha prenotato la pagella per l’amico di, per cui la mia curiosità sul tifoso che si è fatto 300 km in più rispetto agli altri non fa notizia: anche se è venuto a piedi. Saluti e buon lavoro. pm

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