L’Unità. La morte di Aldo Quaglierini, il cronista che non dava lezioni: fu il 28 ottobre 2013, rimedio ora

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Aldo Quaglierini

 

(v.zagn.) Parlando con un amico de L’Unità, ripartita da poco, scorrendo i nomi di ieri e di oggi, è emersa una tragedia, la morte di un caro collega, Aldo Quaglierini, in due tempi capo della redazione sportiva. Non avevamo un grandissimo feeling professionale, faceva spesso altre scelte, però c’era grande rispetto, fra noi. Mi era sfuggita la sua morte, due anni fa, e allora rimedio ora, ospitando i due articoli più significativi di necrologio, usciti proprio su L’Unità.

 

 

Aldo non urla, Aldo non alza la voce, Aldo non sbatte i pugni sul tavolo né le porte. Aldo fa il giornalista. Come quelli di una volta (e lui è giovane, del ’56).

Preparato, serio, rigoroso. Per questo Aldo non va in televisione, Aldo non pensa di essere il depositario del sapere, Aldo non fa lezioncine, Aldo non fonda partiti. Perché lui la politica la ama con tutto se stesso così come ama il suo lavoro. Che fosse Cronaca, Sport o Economia, non fa differenza.

Aldo è il giornalista competente che ognuno vorrebbe in redazione, quello al quale chiedere un consiglio, ma anche l’uomo sereno e franco (grande esperto di vini) sempre pronto allo scherzo e all’autoironia, quello giusto per confidare un fatto della vita. Altrimenti che collega sei. E se tu gli confidi i tuoi, lui ti parla di Loretta o dei figli Lorenzo e Andrea. Ti dice che c’è la crisi ma anche che c’è un domani…

Aldo Quaglierini muove i primi passi a “Paese Sera” seguendo i fattacci di cronaca nella Roma di fine anni 80. Poi dal ’90 a “l’Unità”, ancora cronaca – scritta in modo lineare senza fronzoli o forzature – quindi lo Sport, diretto con equilibrio e senso della notizia. Pensa a Livorno (dove è nato) e tifa Roma ma solo fuori dal giornale (e senza farsene accorgere).

Per “l’Unità” segue diversi avvenimenti sportivi di rilievo, tra questi gli Europei del 2004 in Portogallo. Gli si può affidare qualsiasi incarico: Aldo sa quello che fa e lo fa senza darsi arie. Anche nell’Ufficio Centrale o nelle pagine dei Commenti mette a disposizioni tutte le sue conoscenze a vantaggio del giornale. Aldo non ama la vetrina, alla Prima Pagina preferisce la rubrica delle Lettere. Più vicino ai lettori meno ai riflettori Aldo ha solo una regola: quando spegne il computer, mette la giacca, si ingobbisce e via a passo svelto verso l’uscita. Senza voltarsi mai. Aldo oggi, per una volta, quella regola infrangila. Torna indietro.

 

 

E QUESTO ERA IL PEZZO SUI FUNERALI

C’era tanta gente al Tempietto egizio al cimitero romano del Verano, per salutare con una cerimonia laica il nostro Aldo Quaglierini. Tanta gente e tante testate. Dall’Unità di oggi, con tre dei suoi ultimi direttori (l’attuale Luca Landò, il precedente Claudio Sardo e Antonio Padellaro) a l’Unità degli anni passati. C’erano i colleghi di Paese Sera, con cui Aldo ha cominciato i primi passi, e quelli del Fatto quotidiano che vengono dalla testata fondata da Gramsci. Le strade professionali forse si sono allontanate, ma l’ultimo abbraccio a un collega falciato da una spietata malattia ha unito tutti.

Un ultimo abbraccio, qualche parola rotta dalla commozione, e i ricordi di un lavoro comune. Un giornalista bravo era il “Quaglia”, capace di scovare notizie anche dalla sua postazione desk, curioso e vivace. Mai sopra le righe, mai isterico o malmostoso – difetti comuni di questa nostra professione. Anzi: risolveva problemi, qualità preziosa in una redazione. Gentiluomo di gran cultura. Appassionato politica, di cibo e buon vino, di buone letture e di cinema di qualità. E soprattutto un amico, un compagno. Un collega con cui dividere imprese e inchieste come il lavoro più organizzativo.

Difficile parlare di un amico che se ne va davanti alla sua bara, con la maglietta rossa buttata sui fiori, “L’Unità all’Eroica”, la corsa cicloturistica sulle strade bianche del senese. E una copia del suo giornale sotto il braccio. Lo hanno ricordato alcune colleghe e colleghi della redazione: il nome di Aldo è indissolubilmente legato a questo ultimo quarto di secolo dell’Unità, attraverso le sue fasi più difficili, ma anche all’entusiasmo per il rilancio e i suoi successi.

“Al giornale hai dato molto, senza chiedere molto in cambio, una vera rarità. Quello era il tuo mondo è lo è rimasto fino alla fine – ha detto Bianca Di Giovanni – Oggi possiamo dire che se in questa famiglia del giornalismo di sinistra c’è uno stile da tramandare e da difendere, quello è stato il tuo stile. Segnato dalla sensibilità e l’attenzione agli altri, mai solo a se stessi. Per tutto questo non possiamo che dirti grazie”. “Ai giornalisti non mancano mai le parole – ha commentato il direttore Luca Landò – ma in questa situazione è difficile trovarne. Quelle che vengono in mente sono amicizia, perché è quello che Aldo trasmetteva e lo si è visto dai necrologi usciti sul giornale; collega perché non diceva mai di no e aiutava a risolvere i problemi; serenità perché cercava il positivo in ogni cosa, anche nei momenti concitati in cui si chiudono le pagine del giornale; la quarta parola è l’Unità perché era giornalista e compagno; infine grazie perché averlo incontrato è stata una fortuna per tutti”.

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