Enordest.it. Totò addio; il calcio lo piange e intanto licenzia De Rossi

(enordest.it)

https://www.enordest.it/2024/09/22/toto-addio-il-calcio-lo-piange-e-intanto-licenzia-de-rossi/

Vanni Zagnoli

Dalla settimana del calcio isoliamo tre fatti. Il lutto quasi nazionale per Totò Schillaci, la panchina della Roma è la prima a saltare in stagione ed è una panchina nobile e quell’Ibrahimovic che ha del Cassano, nelle esternazioni.

Sento ancora Bruno Pizzul urlare “Schillaci, Schillaci”. Rai1, notti magiche, mancò davvero pochissimo al passaggio in finale dell’Italia più bella, forse, in assoluto, di Azeglio Vicini. Bella quanto l’Italia di Enzo Bearzot nel 1978.

Spesso la miglior espressione di gioco non è premiata dai risultati, questo dice la storia.

Totò Schillaci, Totò.

Non c’è più. 

Schillaci, Schillaci. Quegli occhi fuori dalle orbite, unici.

Il ragazzo arrivato dal Messina, da Franco Scoglio e poi da Zeman, l’eroe di Italia 90 e che eroe. Capocannoniere.

Neanche doveva giocare. Se Andrea Carnevale non avesse mandato a quel paese Azeglio Vicini alla sostituzione, nella prima partita, magari saremmo ripartiti con Carnevale titolare, campione d’Italia con il Napoli.

Schillaci bruciava tutti, sul tempo, ha vissuto 3 stagioni straordinarie e poco altro. La prima doppia cifra di gol nel Messina, a 22 anni, poi una con i menischi, un’altra buona con 13 gol, in B, e poi 23, capocannoniere cadetto.

Alla Juve, 15 gol e la convocazione a furor di popolo, in extremis. Il resto è noto, Baggio e Schillaci, non Vialli e Carnevale, come primattori. Ma Schillaci e Vialli in semifinale con l’Argentina, non Baggio, poi subentrato a Giannini, e poi Serena, che sbagliò un rigore.

Schillaci piace anche nella finale per il 3° e 4° posto, è all’apice, a 26 anni potrebbe fare anche meglio di Luca Toni, campione del mondo a 29 e capocannoniere di serie A a 38. Infortuni, motivazioni che scendono, la donna della vita che cambia. Smette a 33 anni, in Giappone. 

E poi il personaggio di spettacolo, la tv, il personaggio.

La scuola calcio, persino la politica, consigliere comunale con Forza Italia, si dimette a Palermo dopo due anni. L’isola dei famosi. Un film, un libro.

Tanto spettacolo e la malattia.

E ogni volta che arriva la notizia che un campione o una persona è in gravi condizioni ci si prepara al peggio.

Raiola, Gresini nel motociclismo per il covid, Vialli, Mihajlovic.

Amo gli attaccanti rapidi, non quelli fisici, Schillaci al Messina e nel primo anno di Juve era indemoniato. Peccato abbia fallito nella Juve di Maifredi, fosse stato il vero Schillaci Maifredi, con Baggio, anche, avrebbe vissuto un bel ciclo, anzichè poi perdersi.

Schillaci, Schillaci, campione siciliano, come Pietro Anastasi, erano eroi di Vladimiro Caminiti, il leggendario Camin, di Tuttosport.

Quel vorticoso gioco di gambe di Salvatore, quel puntare e tirare, scartare e gettarsi nello spazio, si sarebbe detto poi.

“Papà, stavi giocando l’ultima partita della tua vita, sapevi già che l’avresti persa ma te la sei giocata benissimo”. Scrive la figlia Jessica. Il tumore al colon è in aumento, sorprende sempre quando un grande sportivo se ne va così presto.

Schillaci, Schillaci.

Francesco di Mariano gioca nel Palermo di oggi, è un ottimo calciatore. Con i 2 stranieri dell’epoca, sarebbe tranquillamente in serie A: “Caro zio, sono cresciuto nella tua scuola calcio, con l’idea di dover arrivare ad alti livelli e partecipare a un mondiale e rendere fiero un popolo, farlo sognare proprio come hai fatto tu, ma questo non è accaduto, spero tu sia rimasto comunque orgoglioso di me. Sin da piccolo sono sempre stato accostato a te, ed è stato un onore ed un orgoglio”. 

Salvatore fu scarpa d’oro del mondiale di 34 anni e fu vice Pallone d’oro, dietro Lothar Matthaus, campione con la Germania. 

Di quei 22 azzurri se n’è andato anche Gianluca Vialli, tumore al pancreas, 7° per due volte nel Pallone d’oro. Come continuità, non c’è stato paragone, ma in quella estate e in quelle due stagioni, almeno, Salvatore è stato più lampeggiante. Come i suoi occhi. Spentisi a 59 anni.

L’esonero di Daniele de Rossi è incredibile, a dir poco. Ha avuto la chance di sostituire Mourinho solo per il nome che porta, per essere stato bandiera della Roma, alla Spal non aveva fatto bene. Al posto del portoghese onestamente era difficile fare meglio. Sì, le ultime partite di campionato non erano state esaltanti, c’era la possibilità di arrivare davanti all’Atalanta e dunque in Champions. In Europa league aveva compromesso la semifinale perdendo in casa con il Bayer Leverkusen, al ritorno era andato vicino ai tempi supplementari, aveva ribaltato quel 2-0 dell’Olimpico.

Mesi di buon livello, convincenti anche sul piano del gioco, molto superiore al caos organizzato – avrebbe detto Eugenio Fascetti – tipico del mourinhismo. 

Fra i motivi che hanno portato all’esonero ci sono la vicinanza di Francesco Totti, capitano della Roma prima di lui, che sperava di rientrare, la lite con la società sulla gestione di Dybala alla fine rimasto, e poi il caso Zalewski, escluso dalla rosa, di fatto, e ora rientrato.

De Rossi non ha un carattere facile, alla Spal arrivò quasi allo scontro fisico con il ds Fabio Lupo, dopo il mercato di un anno e mezzo fa, che non l’aveva convinto. 

Ma è impossibile esonerare un allenatore dopo 3 punti in 4 partite. Aveva perso in casa con l’Empoli, ma anche pareggiato a Torino con la Juve. Non era passato a Cagliari, nè a Genova con i rossoblù ma è il solito discorso che facciamo da anni. Una mini serie non positiva a metà stagione viene metabolizzata serenamente, all’inizio di un campionato dirigenti impulsivi non la tollerano e arrivano a esonerare.

De Rossi paga l’ennesimo scontro fra la ceo Lina Souloukou, i rapporti erano tesi già da parecchio, anche a causa del mercato in altalena e dell’unica vittoria nelle ultime undici partite. La squadra era cambiata molto nell’ultimo mese di mercato, c’era bisogno di tempo per costruire. I Friedkin si sono schierati dalla parte della greca, che ha preso quasi tutte le decisioni sugli acquisti e sulle cessioni, mentre Ghisolfi è una figura di riferimento soprattutto nella parte operativa.

La situazione tra De Rossi e la dirigente era impossibile da ricucire, eppure l’allenatore aveva firmato per tre stagioni a fine giugno.

Arriva Ivan Juric, bravo, allievo di Gasperini, ma al Torino aveva firmato due decimi posti e un nono. Con cui sarebbe stata Europa, Conference, se la Fiorentina l’avesse vinta.

Il croato è un altro personaggio dal carattere non facile, memorabile una litigata anche fisica con il ds del Torino Vagnati. Per come ha giocato con il Verona può meritare la chiamata neanche al Toro ha fatto male, le vie delle scelte peraltro restano misteriose. In granata finisce un triennio non esaltante, complici un mercato al risparmio, e arriva un’occasione di avanzamento di carriera. Juric debutterà in Europa, lo merita per come ha fatto giocare da quando allena, soprattutto con la promozione del Crotone in serie A, ma De Rossi meritava di restare. Magari il triennale era eccessivo, magari l’effetto cambio di allenatore era svanito, con quell’unico successo complessivo nelle ultime 11 giornate.

E poi c’è stato lo show di Zlatan Ibrahimovic, altamente diseducativo. Sembrava di sentire parlare Cassano, da giocatore e adesso che fa l’opinionista.

“Il mio ruolo? È semplice, perché in tanti parlano. Comando io, sono il boss e tutto il resto lavora per me”.

Su Sky, ci sarebbe la domanda da studio.

“Pure Boban non ha capito il mio ruolo? Quando leone va via, i gatti si avvicinano. Quando il leone torna, i gattini spariscono. Tutto quel che si dice in giro, il livello è troppo basso. Mi sto concentrando sul lavoro, sono stato via per qualche giorno per motivi personali, però sono sempre presente. Si lavora, si pedala”.
Ma chi sono i gattini e con chi ce l’aveva Ibra? Non con i giocatori rossoneri, ma con chi ha parlato troppo a suo dire: “Gattini non è la squadra, ma quelli che sono fuori squadra. Squadra sta bene e sono carichi”.

Ibrahimovic è stato un grande attaccante, gli sono mancati solo il successo in Champions league e una nazionale superiore alla Svezia, con cui raggiungere una semifinale internazionale. Non ho mai sentito un dipendente di società parlare così, “Tutto il resto lavora per me” è singolare. Neanche i compianti Zamparini e Gaucci oppure Cellino usavano questi termini.

La prima stesura dell’articolo pubblicato su “Enordest.it”

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