La morte di Aldo Agroppi, Antonio Matarrese: “Non lascio questo tipo di ricordi”. Peccato, fu il suo grande antagonista, in tv, memorabile. L’audio del no grazie

Oggi è facile ricordare qualcuno, con wikipedia non sfugge niente. L’ho consultato anch’io, sempre, e anzi mi sono sempre focalizzato sulle avventure più marginali.

La carriera di Aldo Agroppi viene ricordata da me vagamente, da allenatore. ancor più da giocatore. “I calzettoni alla cacaiola”, era una delle sue espressioni preferite, in tv. Ovvero alla Omar Sivori. Era un bel mediano, nel Torino, vinse due coppe Italia, si affacciò anche in nazionale, con 5 presenze.

E’ stato un calciatore da 6,5 e allenatore forse idem. Da opinionista 7,5. Intendiamoci, poteva anche avere ragione, il punto è che da pulpito arrivavano quelle parole. Vittorio Cecchi Gori gli affidò una Fiorentina salvabile, da subentrato, non controllo, appositamente, ma spero di ricordare bene, a Gigi Radice, e Aldo fece malissimo, talmente male da non essere più credibile, come sparatore sui calciatori, su tanto.

I viola retrocedettero, chiuse la stagione la bandiera Luciano Chiarugi, mitico ex mancino, e poi risalirono con Claudio Ranieri.

Agroppi fu per anni l’opinionista principe de La Domenica Sportiva, scatenato, soprattutto contro Antonio Matarrese, che Vittorio Cecchi Gori avrebbe chiamato Maccanese, dizione non sfuggita a La Gialappa’s band.

Agroppi attaccava, piaceva, incendiava, divideva e Matarrese ribolliva, non gli rispondeva, nella forse unica occasione in cui si presentò. Fu una bella scelta, della Rai, un po’ come il Daniele Adani di oggi, che per 3 anni, complessivamente, partendo da Skysport, si è scagliato contro Massimiliano Allegri e il suo non gioco, alla Juventus. Agroppi era acceso antijuventino, come chi scrive, peraltro nato bianconero, grazie a papà Vasco, sino al 1986, allo scudetto perso dalla Roma di Sven Goran Eriksson.

Agroppi criticava, sempre e comunque, amava la provocazione, faceva discutere, come usava a Il processo del lunedì, di Aldo Biscardi, ma faceva specie che parlasse così su Rai1. A fine carriera, da opinionista, si dedicò a radio Sportiva, toscana come lui, fra l’altro, e l’unica volta che lo contattammo declinò.

Di Agroppi ricordo un bel Perugia, con Gozzoli, bel mediano, in serie B.

Adesso leggo l’enciclodia su google, era di Piombino, provincia di Livorno, dove il quotidiano Il Tirreno ha persino una redazione ad hoc. E’ bello ricordare Agroppi alla Ternana, lontana dall’unica serie A, vissuta grazie a Corrado Viciani e al suo gioco corto, ma soprattutto al Potenza. Che meraviglia, la Basilicata, in serie B, ma ci pensate? Era il 1966-67 e 2 anni prima ci arrivò anche Roberto Boninsegna, poi vicecampione mondiale, nel ’70, in Messico.

Portò in serie A il Pisa, da allenatore, con Romeo Anconetani presidente, a fine ’83 si dimise dal Padova per una forma di depressione. Agroppi toccò l’apice in panchina qualificando la Fiorentina in coppa Uefa, non restò perchè detestato dagli ultras, per avere accantonato Giancarlo Antognoni, a soli 32 anni.

Dispiace che Aldo avesse smesso a 33 anni, sul campo, al Perugia, e a 49 in panchina, dopo quella ulteriore esperienza viola. Non c’è paragone fra le emozioni del campo, da calciatore o tecnico, e le opinioni fuori, a prescindere dal contesto. Agroppi fu, di fatto, l’ex calciatore e allenatore più puntuto, nei commenti, bersagliò anche Marcello Lippi. Fra i più coraggiosi ci fu anche Massimo Mauro, a Sky, ma non era stato trainer.

Al Perugia, in panchina, perse una sola partita in stagione, in serie B, record per la categoria. Non era diplomatico e alla lunga non è detto che sia un bene. Ha scritto due libri, mancherà a chi, come noi, ama l’onestà intellettuale e rifugge l’essere lacchè, come disse Gianni Melidoni, già capo dello sport de Il Messaggero, di Roma, a Gianni Minà, il re delle interviste per la Rai. Espressione usata a Il processo del lunedì.

Dicevamo del suo bersagliare i potenti, come il presidente federale Antonio Matarrese, sopra trovate l’audio, con anche la sua immagine, nel no grazie nel ricordare chi non c’è più. Non la fa per nessuno scomparso, forse ha detto di no ad altri giornalisti, in generale, però dispiace. Di fronte alla morte, non ci sono motivazioni che tengano.

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