Mercoledì sera, abbiamo fatto tardi a raccontare tifosi della Reggiana e pure uno della Sambenedettese, a narrare il paese di Antonio Ligabue, il pittore ricordato dalla maglia granata.
I soliti cori di ultras e i colori, la passerella dei giocatori alla ricerca della seconda salvezza di fila, in serie B, cosa che non si verifica dai tempi delle mancate promozioni di Pippo Marchioro.
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E proprio lì, a Gualtieri, nelle ore successive si è spento Gaetano Salvemini, l’allenatore nato a Molfetta, Bari, e da sempre residente in questo paese di 6mila abitanti, non lontano da Mantova. Per la verità è morto all’ospedale della zona, a Guastalla
Era un nonno felice, aveva 82 anni. L’avevamo incrociato, anni fa, allo stadio, con l’intento di ricostruirne la carriera, non abbiamo fatto in tempo. Salvemini era un gentiluomo, figlio di un altro calcio, di gentiluomini, appunto, ma questo si può dire di tanti protagonisti in panchina dagli anni 70.
Era stato un buon centrocampista di fascia sinistra, fra Venezia, Siena, Empoli e Mantova. C’era anche lui fra i virgiliani allenati da Giancarlo Cadè che il 1° giugno del 1967 battè l’Inter di Helenio Herrera, permettendo alla Juventus di vincere lo scudetto, grazie al successo a Roma, con la Lazio. Passò proprio all’Inter, ma si affacciò solo in coppa Italia. Non c’erano le rose di oggi, si giocava di meno e le riserve avevano poco spazio.
Toccò l’apice a Empoli, con la prima promozione in serie A nella storia dei toscani e due salvezze. Nel 1970 si giocl e poi chiuse la carriera, nel ’77, a 35 anni, con 124 gare e 35 gol con gli azzurri, promossi in C.
A Empoli debuttò in panchina, con due salvezze in C1, prima di chiudere al quinto posto nel campionato 1980-‘81. Tornò nell’estate del 1985 portando l’Empoli in A, per la prima volta. La stagione successiva, al debutto, battè l’Inter di Trapattoni. Non prese gol in casa dal 9 novembre 1986 al 26 aprile 1987, qualcosa di unico per una matricola assoluta.
“Aveva una spiccata personalità e contenuti umani incredibili che non lasciavano indifferenti – racconta il presidente Fabrizio Corsi, a La Nazione -, ha scritto la storia di questa società in più vesti”.
Era l’Empoli del portiere Drago e dell’esterno destro Della Scala, dei trequartisti Casaroli e Della Monica, di capitan Andrea Salvadori, del centravanti Cecconi. La seconda salvezza non arrivò complici 5 punti di penalizzazione, meritò comunque la chiamata del Bari dei Matarrese e conquistò la serie A e poi la Mitropa cup, unico trofeo assoluto vinto dai pugliesi. Due salvezze, poi arrivò il campione inglese David Platt, nel nuovo San Nicola, le attese erano enormi, lui diede le dimissioni dopo dopo 2 punti in 5 partite. Boniek fece peggio, di lui, la proprietà lo rivoleva, non la curva, che urlava “In B ma con Zibì” e così non tornò.
Da allora allenò solo in B, Cesena e Palermo, Genoa.
Con i rossoblù fu l’ultimo allenatore dell’età moderna a solleva un trofeo, di nuovo l’anglo-Italiano (5 a 2 nella finale di Wembley, nel ’96, tripletta di Ruotolo) e proprio il Genoa era stato avversario nella prima finale, vinta con il Bari.
Fecero epoca i quattro 0 a 0 consecutivi che il Genoa di Franco Scoglio e il Bari di Salvemini misero in fila. Spinelli lo chiamò nella stagione 1995-96, dopo la retrocessione, per sostituire Gigi Radice. Nonostante il trionfo di Wembley non fu riconfermato e al suo posto arrivò Attilio Perotti. Pentito Spinelli, che dopo pochi mesi avrebbe ceduto la società a Scerni, gli affidò la squadra nella stagione 1997-98 per poi esonerarlo dopo poche giornate affidandosi a Maselli. Nel frattempo, Salvemini aveva guidato la Lucchese. Poi sarebbe passato alla Cremonese. Chiuse a Monza, nel 2001, a 59 anni, prestissimo, rispetto alla media. Magari una puntata nell’Europa vera l’avrebbe meritata.
A Gualtieri partecipava attivamente alla vita del Lions club, con le sue idee. Le esequie avranno luogo lunedì alle 9.30, da Guastalla per Gualtieri. Gaetano lascia la moglie Vittoria, i figli Domenico, Cecilia, Marco e Andrea.
E fa ripensare a quel calcio fatto anche di pareggi, di retropassaggi, di difesa. Del resto sino al ’94, in serie A e B la vittoria valeva 2 e non 3 punti. Era un calcio di sicuro più romantico, ma anche con gente come lui, mai sopra le righe. Un calcio naif come i quadri di Ligabue.