Da assocalciatori.it, la storia di Dino Baggio: “Quel gesto dei soldi all’arbitro Farina mi ha penalizzato”.

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C’è una partita che ha cambiato la vita di Dino Baggio. Era domenica 9 gennaio 2000, la prima nella storia del nostro calcio in orario meridiano, alle 13. All’epoca il centrocampista era in nazionale e aveva 28 anni.

Dino, Parma-Juve nel 2000 rappresentò l’inizio della sua fine, con il gesto dei soldi rivolto all’arbitro Farina, di Novi Ligure.
“Fu una direzione a senso unico – ricorda l’ex centrocampista -, punì con il rigore il contatto fra Torrisi e Inzaghi, espellendo il nostro difensore, che in realtà subì fallo”.
Sul campo c’era il rischio di essere ingannati, servono alcuni replay per capire l’errore del direttore di gara. Poi perchè lei commise un fallo tanto duro, a centrocampo, su Zambrotta?
“Fu un semplice intervento di gioco. Restammo in 9, pareggiò Crespo allo scadere, con la rete che ha emozionato di più i parmigiani”.
Le sfuggì quel gesto nei confronti dell’arbitro e sputò per terra.
“Non sono pentito, lo rifarei, avevo precorso i tempi, rispetto a calciopoli. Sul campo ci rendevamo conto che qualcosa non andava, 6 anni dopo la giustizia ha dato ragione ai miei sospetti”.
L’anno scorso con l’arbitro Farina ha fatto pace…
“Non ce l’avevo con lui, ma con il sistema”.
Avrebbe dovuto essere titolare anche agli Europei di Belgio e Olanda, nel 2000.
“Invece non vidi più la Nazionale. Pensare che il ct Dino Zoff stravedeva per me, poi lo ritrovai alla Lazio”.
Fu squalificato per due partite e multato dal Parma per 200 milioni di lire.
“E saltò l’amichevole contro la Svezia del febbraio 2000”.
Per decisione del presidente federale di allora, Luciano Nizzola, oggi 81enne. Ma quella scelta venne promulgata da Moggi?
“L’ostracismo in azzurro mi puzzò molto, peraltro non posso sapere se ci fu una telefonata contro di me. Certo non ritrovai più l’Italia”.
Di fatto chiuse con l’azzurro il 13 novembre 1999, Italia-Belgio 1-3.
Ma ripartiamo daccapo. Diede i primi calci a Tombolo in provincia di Padova, e da ragazzino era gracile.
“Proprio così. Il mio primo allenatore fu Cesare Crivellaro e a 13 anni venni notato dal Torino”.
L’esordio in serie A fu con i granata, al Delle Alpi, 0-0 con la Lazio, nel settembre del ’90.
“E il primo gol è stato con il Cesena, vincemmo 1-0, segnai nel recupero”.
Nel ’91 andò in prestito all’Inter, proprio a titolo di risarcimento, per il ritorno alla Juventus di mister Giovanni Trapattoni.
“Fu probabilmente l’unico caso di calciatore scambiato per un allenatore. In nerazzurro trovai Corrado Orrico, esonerato per lo spagnolo Luisito Suarez, mentre chiuse Luciano Castellini”.
Nel ’92 tornò a Torino, ma sull’altra sponda…
“Vincemmo la coppa Uefa, con Giovanni Trapattoni, contro i tedeschi del Borussia Dortmund: cinque anni più tardi fu Nevio Scala a portarli al successo in coppa Intercontinentale. Realizzai il pareggio per la Juve nel 3-1 d’andata, facendo doppietta al ritorno”.
Nel dicembre ‘91 esordì con la Nazionale di Sacchi, 2-0 a Foggia contro Cipro. E a febbraio 93 la prima rete, in Portogallo, a Oporto. In totale ha giocato 60 partite, con 7 gol.
“Tanti, soprattutto considerato che non ero un attaccante. Sono molto affezionato alle 2 reti al mondiale ‘94: con la Spagna, nei quarti, controllo e tiro dell’1-0; pareggiò Caminero, poi risolse Roberto Baggio”.
Nel girone di qualificazione, l’1-0 alla Norvegia.
“Il capitano Franco Baresi si era infortunato al ginocchio, Paolo Maldini era zoppicante e il portiere Pagliuca a metà primo tempo venne espulso, così a tratti giocammo davvero in 8”.
Quell’estate americana fu davvero strepitosa, come per Antonio Benarrivo.
“Sul piano fisico fu alquanto dispendiosa, si giocava a mezzogiorno, con 30 gradi. Toccai il diapason della carriera, perdemmo dal dal dischetto con il Brasile”.
Dodici anni dopo, gli azzurri hanno battuto la Francia, ai rigori…
“Noi però avevamo fronteggiato i migliori al mondo, fra l’altro fuori dall’Europa. E solo la Germania ha vinto il mondiale in America”.
Il ct Arrigo Sacchi il mese dopo le scrisse una lettera di ringraziamento.
“L’ho pubblicata nel mio libro, “Gocce su Dino Baggio, dove ripercorro anche i momenti negativi della mia storia”.
Alla Juve intanto arrivarono Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Roberto Bettega, la indussero a trasferirsi a Parma. Suonò strano, considerato il suo valore e le ambizioni bianconere.
“Avevo compiuto quella scelta, allora la società gialloblù era al top”.
Nel ‘94-‘95 la lotta fra emiliani e juventini fu totale.
“Loro vinsero lo scudetto, con un 4-0 al Delle Alpi, e la coppa Italia, al Tardini, noi la Uefa, segnai la rete dell’1-0 in casa e il pareggio nel ritorno, disputato a Milano, con uno spicchio di curva interamente parmigiana”.
Nel ’96 arrivò sulla panchina crociata Carlo Ancelotti, per due buone stagioni senza trofei ma con tutti piazzamenti. Memorabile fu il 3-1 al Milan con la rovesciata più bella della storia, secondo un sondaggio fra i tifosi del Parma.
“Avevo impegnato Taibi da fuori, si era rifugiato in angolo. Ci fu un batti e ribatti, che coinvolse anche Thuram, la palla si alzò e d’istinto andai in rovesciata. Era un posticipo, lo stadio Tardini era pieno e fu il 2-0 di una gara vista da tutti. Bello anche perchè sulla panchina rossonera c’era Fabio Capello, superammo una delle grandi. Chiesa fece doppietta: il secondo fu uno scambio con Stefano Fiore”.
Fu l’unica rete in rovesciata della sua carriera.
“A 13 anni ne realizzavo tante, giocavo di punta. Ne provai altre, da professionista, andò a buon fine la più importante”.
Nella galleria dei grandi gesti tecnici ne rammenta due di Van Basten.
“Una è famosa, al Goteborg in coppa dei Campioni, dal limite dell’area, gli svedesi persero 4-0. Con l’Ajax ne realizzò una ancora più spettacolare, all’incrocio”.
Di quella sua esecuzione colpisce la distanza, quasi al limite dell’area.
“Mi fecero i complimenti un po’ tutti, in squadra. Un giorno però mi chiamò ad hoc Arturo Di Napoli, centravanti anche di serie A. Il suo apprezzamento mi fece piacere perchè veniva da fuori Parma”.
Poi arrivò Alberto Malesani, che autografò le tre coppe in 100 giorni.
“Mancò davvero solo lo scudetto, per una provinciale tuttavia è complicato”.
Disputò anche l’Euro ’96: fu fatale il rigore di Gianfranco Zola con la Germania.
“E anche ai mondiali di Francia, nel ’98, ero sempre titolare. Portammo i padroni di casa ai rigori, con Cesare Maldini ct. Fosse entrato quel tiro di Roberto Baggio, nei supplementari, saremmo arrivati in fondo perchè vigeva la regola del golden gol”.
Poi iniziarono le sue disavventure: in Polonia le arrivò una coltellata in testa, dagli spalti.
“Era l’andata dei sedicesimi di finale di coppa Uefa, a Cracovia, sul campo del Wisła. Mi prese di striscio, servirono 5 punti di sutura, andò persino bene”.
Nell’ottobre del 2000, alla 7^ stagione in Emilia, dopo 5 mesi passò alla Lazio.
“Restai sino al 2003, segnando un gol in 44 partite di campionato, con uno scudetto avvicinato”.
A 32 anni il prestito in Inghilterra.
al Blackburn Rovers, con un gol in 9 partite.
“E fu la miglior esperienza, in un calcio molto sano”.
Nel gennaio 2004 il prestito all’Ancona, che però era quasi retrocessa. Ritornò alla Lazio e assieme a Paolo Negro fece causa per mobbing al presidente Lotito.
“Ci trovammo fuori rosa senza motivo, eravamo in scadenza di contratto e in tribunale vincemmo”.
Chiusi nel 2005 alla Triestina, in serie B con 3 presenze.
“Lì conobbi Alessandro Calori, ottimo allenatore, e tenni a battesimo Daniele Galloppa: era giovane, tutto mancino, davvero bravo. Con Marcello Lippi aveva debuttato in nazionale, le sue qualità erano già evidenti, mi spiace che abbia subito tre gravi infortuni, nel Parma”.
Oggi in chi si rivede?
“In Marchisio e Montolivo, centrocampisti prolifici. Riccardo spero rientri in fretta al Milan: anch’io sarei dovuto andarci, un paio di volte”.
Del suo Parma, invece, non c’è più nessuno.
“Del resto sono passati 14 anni. L’ultimo è stato Hernan Crespo, ma di ritorno. Resistono le segreterie, Valeria e Cinzia”.
E’ tornato al Tardini due anni fa, per i 35 anni dei Boys, il gruppo di ultras comunque pacifico.
“Ritorno saltuariamente ritorno. Ho un amico salumiere, uno ristoratore. Non c’è più il mio club, fondato da Gianni e dall’amico Gaetano”.
Con Roberto Donadoni ha condiviso l’azzurro, dal ’92 al ’96.
“E’ un buon allenatore, grande professionista e soprattutto una brava persona, dal carattere giusto. Anche da tecnico vive una bella carriera, ha girato un po’ di squadre, fra nazionale e serie A. La scorsa stagione ha fatto benissimo, qualificando i crociati all’Europa league, sul campo, adesso è in difficoltà ma incidono anche i problemi societari”.
Tra gli ex di allora chi sente?
“Gigi Apolloni, vincitore della coppa di Slovenia con il Nova Gorica e purtroppo esonerato a ottobre. Mi è capitato di incrociare Gianfranco Zola, in aeroporto, a Napoli. Inoltre aveva iniziato la partita per il centenario del Parma, un anno fa. Quello era un bel gruppo, in cui si sacrificavano tutti e davano una mano: é stato un piacere ritrovarli. Le vittorie sono sempre della squadra al completo, non del singolo”.
Tra i big della sua epoca, anche Nestor Sensini è diventato allenatore.
“Era molto saggio, anche in campo. Dopo il debutto sulla panchina dell’Udinese, trova spazio in Argentina, è stato su panchine prestigiose, all’Estudiantes e al Newell’s”.
Lei nel 2011-12 era stato vice di Paolo Favaretto, allenatore della primavera del Padova.
“E maestro di tecnica per l’intero settore giovanile biancoscudato”.
Poi il dg Luca Baraldi portò Cesare Maestroni, già apprezzato al Modena. Da allora è in attesa di una nuova opportunità.
“Mi dedico alla famiglia, faccio il papà, di Alessandro e Leonardo”.
Accanto a Maria Teresa Mattei, ex ragazza di Non è la Rai e nel cast di Buona Domenica, sino al matrimonio.
“Disputo ogni tanto gare per beneficienza, facciamo partite in giro per il mondo, con l’Aic, 6-7 l’anno: siamo stati anche in Sudafrica, nei posti cari al presidente Nelson Mandela. La rosa è di 50, comprende pure Apolloni, Benarrivo e Benny Carbone. Lorenzo Minotti, invece, ormai non ce la fa più… Inoltre capita di giocare negli over 35, nel campionato veneto Csi”.
E poi gira il Nord-Italia, a presentare il suo libro.
“Ma se una prima squadra mi volesse, ci sono. Intanto ho fatto esperienza”.
Oggi peraltro la Gea non esiste più, Alessandro Moggi l’ha ricostituita a Dubai, con Riccardo Calleri, solo per gestire l’immagine di calciatori, e allora forse da allenatore sarà meno tormentato rispetto agli ultimi 5 anni giocati…
“Su facebook mi hanno segnalato che nella curva del Tardini l’anno scorso c’era la mia immagine, con il gesto dei soldi all’arbitro Farina. Mi ricordano ancora per quello…”.
Non è parente di Roberto Baggio, ma senza di lei il Codino non sarebbe mai arrivato al Pallone d’oro.
“Siamo amici e per me resta un grande anche come uomo”.
Nel marzo 2008, al teatro Accademico di Castelfranco Veneto, vestì i panni di un soldato romano ne “La Passione di Cristo”, con la compagnia “Va’ Pensiero”, di Tombolo.
“E’ stata un’esperienza particolare, non nelle mie corde. Fui convinto da mia moglie, che era del giro: era per beneficienza, per aiutare ragazzi meno fortunati. Bissammo la rappresentazione in altre due località venete”.
Ecco, il libro “Gocce di Dino Baggio” potrebbe meritare di essere rappresentato. O di diventare un film. Perchè Dino è stato grande e va ricordato. Non solo per quel gesto all’arbitro.
Vanni Zagnoli

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