Avvenire. Calcio. Novellino: “Ho indossato per anni la tuta. Poi venivo giudicato per l’aspetto e in panchina metto giacca e cravatta”.

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Da Avvenire, la prima stesura del testo messo in pagina oggi dalla redazione capeggiata da Alberto Caprottil

novellino
Walter Alfredo Novellino

VANNI ZAGNOLI

Da Modena

Oggi nessun giornalista va più a seguire gli allenamenti, perlomeno lontano dalle grandi squadre. Le sedute sono spesso a porte chiuse, per evitare spie, infiltrati e informatori: celebri i casi dello staff di Mazzarri e del Genoa contro la Sampdoria. Gli stessi giornalisti non hanno più voglia nè tempo per vedere come lavora un allenatore. E’ tutto internet e telefono, twitter e facebook, provocazioni e risposte, bombe di mercato e invenzioni, un rincorrersi vorticoso di idee e milioni, anche virtuali. Di recente, dunque, siamo stati al campo parrocchiale di Saliceta San Giuliano, il sintetico su cui il Modena si allena quando fa più freddo, in alternativa allo storico Zelocchi, nell’antistadio del Braglia. Il campionato di serie B è fermo, riprende sabato 17 con la prima del girone di ritorno, i canarini hanno sono 12esimi con 27 punti, a 3 dai playoff. Il loro tecnico è Walter Alfredo Novellino, 61 anni, in panchina dal ’91, è il tecnico più longevo della serie B, veste la tuta.

“L’ho indossata per anni anche in panchina – racconta -, poi siccome la gente mi giudicava per l’aspetto, anzichè per il gioco e i risultati, quando c’è la partita metto giacca e cravatta”.

Novellino sfiorò il preliminare di Champions league con la Sampdoria, il bolognese Fabio Bazzani era la sua punta e fu l’apice di una carriera dalle 7 promozioni. La scorsa stagione è andato vicino a coglierne un’altra con il Modena, da mezzo secolo appena due volte in serie A, con Gianni De Biasi in panchina. Walter vuole imitare il ct dell’Albania, che portò i canarini dalla C1 alla salvezza in A.

Esce dallo spogliatoio, si piazza in una metà campo, dall’altra c’è il vice Giuseppe De Gradi, con lui dalla promozione e salvezza in A del Piacenza, a inizio millennio. In panchina c’è il presidente Antonio Caliendo, 70enne che ha inventato il mestiere di procuratore, in Italia. Manca invece il ds Massimo Taibi, 43 anni, noto per avere segnato un gol in serie A, da portiere.

I tifosi sulla tribunetta sono una dozzina, pochini. Ma è un classico del calcio a nord, solo qualche pensionato va a seguire gli allenamenti. Anzi, vanni in pochi anche allo stadio, il Modena per la verità ha un buon numero di abbonati (3526) più quasi 2mila spettatori paganti. L’anno scorso Novellino aveva valorizzato Babacar, tornato alla Fiorentina (“Per me è più forte di Balotelli”), ora è nella seconda metà della classifica.

La prima seduta era stata la mattina, la seconda è più tecnica. Il mister urla, distribuisce le casacche: “Cinque minuti di lavoro a pressione”. Significa pressare chi porta palla nella squadra avversaria. Segue da lontano e sbraita: “Chi è il perno centrale?”. Richiama così Andrea Schiavone, 21enne mediano in prestito dalla Juve. Fischia e ordina: “Tutti dietro, tutti preparati. Dai, per bene”.

I gialli hanno voglia di giocare, anche perchè di recente la gara con l’Entella è stata rinviata per il maltempo e sarà recuperata a metà dicembre. “Rientriamo di più, più qualità nelle giocate. Per bene”.

Novellino sa che siamo lì per lui ma non teatralizza nulla. “Non essere già alto, Luca, ti alzi dopo”, aggiunge De Gradi, riferito a Calapai, altro 21enne. In gergo calcistico, significa stai dietro, in difesa, avanzi in un secondo tempo.

“Alzati, alzati”, urla Zoboli a un compagno, è lui l’uomo forte della fase difensiva. Specialista nel rubare palla è il nigeriano Osuji, ha il berrettino per proteggersi dal freddo.

Si va al cambio delle pettorine, con grande intensità e ritmo elevato. “Scivola sull’uomo”, ordina Novellino. E ancora: “Dov’è il mediano basso?”. “Faglielo fare ‘sto movimento”.

Sul campo regna l’armonia, nonostante le sole 6 vittorie conquistate in 21 gare. “Ancora 2’ e poi siamo a posto”, riprende Novellino. “Non portatela, giochiamo. Dai Tonu, via”. Qui il riferimento è al difensore Devis Tonucci. Ogni tanto l’allenatore interrompe il gioco: “Sono i perni centrali che decidono la partita”. “Non sono il Barcellona, eh, ti dispiace tenere la palla un attimo?”. Qui invita un centrocampista a ragionare di più, ad accennare un pizzico di tiki-taka, il famoso modo di palleggiare degli ex campioni d’Europa.

“Avanti, prima punta”. La richiesta è di giocare per l’uruguagio Mariano Granoche, El Diablo tornato vicino ai livelli di Trieste, dopo un lustro negativo. E’ capocannoniere con 12 gol, assieme a Riccardo Maniero (Pescara) e a Luigi Castaldo (Avellino).

“Bisogna correre, non fare l’allenamento che uno vuole. Chiaro?”. Appena vede che la determinazione scende, Novellino si fa sentire. “Giocate all’incontrario: giocate la palla, anzichè portarla”.

Non tutti sono convinti di fronte a queste indicazioni e allora li tranquillizza: “Non vi preoccupate, so io cosa fare”. “I due centrali la buttino sulle due punte”. Lì prova ad attaccare con lancio lungo.

A bordo campo c’è il raccoglitore di bottigliette usate, le mette assieme il fisioterapista Enrico Corradini, sassolese. L’intero staff è coinvolto, il preparatore dei portieri è Marco Bizzarri, collaboratore è Duccio Innocenti, ex centrale del Bari. Si alza anche Caliendo, per seguire bene il training. A un certo punto De Gradi partecipa a un allenamento a 4, variante del classico “torello”. “Ruba e gioca. Adesso tu la palla la dai a lui, 1-2-3, via”. Il gruppetto è con gli attaccanti Ferrari, Granoche e Gatto, 20enne ex primavera del Verona. A un tratto Novellino si stizzisce, con Matteo Rubin, mancino che in serie A era bravo a offendere ma vulnerabile in difesa: “Devi fare il terzino sennò ti strappo l’orecchio”. Lo mette proprio fuori. “Buona, tira con il sinistro”, insiste. Poi: “Dovete andare ai 200 all’ora”. Ancora: “E’ importante correre all’indietro, non solo in avanti. Qualche minuto e abbiamo terminato”.

Si chiude con due simulazioni. “Mancano 5’ alla fine, è come se fosse sabato, andiamo alla grande”. Poi: “Manca un minuto e mezzo. Dovete prendere come abitudine di rientrare. Via, via, via. Più svelti”.

“Dai, 30 secondi. Attacco contro nessuno”. “Non dovete stare fermi, giocate in ampiezza”.

La seduta era a 22, compresi 4 della primavera. “Tutti sotto la doccia”, direbbe il telecronista più popolare, della tv a pagamento.

Novellino si avvicina, gli chiediamo spiegazioni sui dubbi. Non ha fatto un’eccezione per noi. “Ogni mia seduta è aperta, l’unica eccezione è la rifinitura del venerdì. Non mi interessano le spie, anche a me capitarono quelle di Mazzarri. Tanto si sa che gioco con il 4-4-2”.

Novellino tiene alta la tensione sul campo ma fuori la stempera. Nessuna parolaccia, solo quella curiosa minaccia a Rubin di staccargli l’orecchio. Assieme a Castori, è l’unico ultrasessantenne in panchina in cadetteria. E dà ancora lezioni di tattica a tanti colleghi rampanti.

“Da giocatore – racconta – vinsi lo scudetto della stella al Milan, nel ’79, vissi 4 stagioni splendide, eppure sono interista. Perchè al ritorno dal Brasile, a 15 anni, mentre papà Giuseppe apriva un’officina a Milano, lo zio mi portò a vedere una partita a San Siro. C’era l’Inter e da allora sono rimasto affezionato ai colori nerazzurri”.

Anche per questo gli è dispiaciuto il primo esonero in carriera subito da Mazzarri. “Sino alla scorsa stagione aveva fatto molto bene. Le difficoltà sono state soprattutto con il pubblico, perchè è un istintivo e ha sempre detto la verità: a volte le persone vere pagano qualcosa in più delle altre. Penso che Mancini sia fortunato, oltrechè bravo”.

Inzaghi è più giovane di 20 anni, gli sono bastate due stagioni nelle giovanili per arrivare al Milan. “E’ pure fortunato, la società gli ha offerto questa chance per quanto aveva fatto sul campo. Non ha l’esperienza di tanti ma il tempo gli darà ragione: l’ex campione sa certamente preparare la partita, il problema è gestire le teste di 25 giocatori, i media e il pubblico. Io ebbi la fortuna di essere lanciato dal presidente Gaucci al Perugia, a 39 anni”.

Novellino allena dal ’92, al massimo è stato fermo un anno. “E’ lo stress della panchina a farmi vivere, dà quell’energia di cui si ha bisogno. Serve conviverci, io mi diverto sul campo e non vado in pensione”.

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