Enordest.it. Ciclismo, 20 anni senza Marco Pantani. Gli errori dei genitori e degli amici. Cosa avrebbe fatto se non si fosse levato la vita

La presentazione del libro di Francesco Ceniti

https://www.enordest.it/2024/02/18/pantani-20-anni-senza-il-pirata-la-leggenda-non-muore-mai/

Vanni Zagnoli

Mercoledì sono stati 20 anni senza Marco Pantani.

Scusate se mi racconto, continuamente, come tanti riporto i fatti a me, almeno su questa testata.

Dunque quel sabato notte, direi, di san Valentino, controllo le notizie in Ansa, grazie a un quotidiano che mi ha regalato la password dal momento che, anche da esterno, ero fondamentale, per lo sport e non solo.

Quando leggi Pantani è morto resti di sale. Non credo di avere scritto per qualcuno, quella sera, ho preparato un pezzo chiuso per radio Bruno, ovvero un commento, un necrologio, un articolu mortis, insomma.

Marco era il campione preferito da mia moglie, Silvia Gilioli.

Silvia lavorava con contratto a termine a un’azienda di spedizioni, Mtn, a Sesso, a meno di 10 chilometri da dove abitiamo. In realtà all’epoca eravamo residenti a Canalina, dal ’98 a Migliolungo, fra Coviolo e Canalina, alla periferia sud di Reggio.

Silvia non aveva ancora la patente, ama lo scooter, rosso, Ferrari, fuoco. Una sera scivolò sull’asfalto bagnato e si ruppe il ginocchio sinistro. L’indomani era in ospedale, assistita da una suora, mentre io iniziavo a perdere ritmo, nel sonno, e a dormire sino a tardi. “Io aspettavo il mio ma il mio non arrivava”, sussurava mia moglie, gentilissima, al contrario mio. E’ il suo, il nostro slang, di coppia.

Dunque l’operazione, il gesso, la fine del contratto a termine, anzichè la malattia pagata, Silvia è sempre stata eccessivamente signorile, al contrario di me. Silvia, dunque, stando a letto, fra una iniezione di calciparina, direi, o assonante, dal momento che non si muoveva da letto, Silvia seguiva il ciclismo in tv e come milioni nel mondo si entusiasmava per il pirata.

“Forza tani, forza tani, forza tani”, cantava simpaticamente. Peccato che allora non ci fossero gli smartphone, sennò l’avrei filmata e pubblicata. Avevamo la telecamera, costò 5 milioni e 800mila lire, la usò quasi esclusivamente lei.

“Scatta Pantani”, strepitava Adriano de Zan, il re del ciclismo Rai, che ha insegnato la cultura, agli italiani, come avrebbe poi fatto con l’atletica e lo sci di fondo Franco Bragagna, studi a Padova, moglie pordenonese.

“Com’è sfor, che bino sfor”. Che ragazzino sfortunato, diceva Silvia, Pantani. Una caduta, un infortunio grave, lei conosceva la sofferenza da trauma. Il ginocchio sinistro di Gilioli mai è tornato perfetto, non si piega completamente, da una dozzina d’anni poi è ingrassata, non facendo più attività fisica.

Pantani, intanto, inanellava successi, trionfi, una fidanzata straniera. Era in famiglia con mamma Tonina, che intervistammo per Libero ma di cui non riusciamo più ad avere il numero, con papà Fernando detto Paolo: avevamo due numeri fissi, loro, uno non è più attivo, all’altro non si ha risposta.

Dopo il nostro insuccesso al concorso Rai, nel 2020, andammo in Romagna per una tappa del Giro, era in ottobre, al freddo, raccontammo la piadineria con Manola, la sorella. La ricordo provata, purtroppo, dal dolore. Perdere un fratello così è tragico, quando poi è uno dei personaggi sportivi più puliti al mondo.

Marco, dunque, vinse tanto e cadde, si rialzò sino a Madonna di Campiglio 1999. Ematocrito appena oltre i limiti consentiti, probabilmente per una dna naturalmente così concentrato, così virile. Magari l’avessimo noi. E non scherziamo.

Ricordo Candido Cannavò, catanese, direttore de La Gazzetta dello sport, organizzatrice del Giro, voleva fargli ammettere qualcosa che non aveva fatto, anzi. Si parlò di un Marco vittima di mafia, di scommettitori. La realtà è che a 28 anni non trovò più la forza di maramaldeggiare, neanche in salita, con quel suo corpicino agilissimo.

Silvia, davanti alla tv, commentava le smorfie che faceva sul traguardo, tra fatica e soddisfazione.

Marco iniziò il tunnel della depressione, soprattutto cedette alla tentazione di drogarsi. Conosco l’ansia, da quando sono ragazzino, altrettanto la depressione, ma di sicuro anche se avessi avuto amici spregiudicati mai avrei provato stupefacenti.

Me li hanno offerti anche negli scorsi mesi, Francesco, Russo, o forse Falco, gira con un documento falso e mi ha rubato 400 euro in alcuni mesi. Non si fa pagare per le chiacchierate sul mondo giovanile che mi regala, con il viso, passa direttamente all’incasso.

Passa droga a Federico, drogato di scommesse calcistiche, per fortuna non a Tudor, famiglia moldavo, centrocampista in promozione, alla Luzzarese, nè all’amico Walid, marocchino pure appassionato di calcio.

Francesco Russo, o forse Falco, già arbitro, in categoria, a Reggio Emilia, mamma napoletana, papà in Germania, sarebbe stato un eccellente venditore di morte di Marco Pantani. Chi spaccia, tantopiù da giovane, tantopiù alla luce del sole, davanti a un giornalista, non si fa scrupoli. Ne ho parlato con i carabinieri, chiedo che venga attenzionato, in via Bismantova: “L’unica cosa che può fare è chiamarci quando lo vede cedere droga”.

Certo, ma se ci sono, mi allontano per chiamare e poi arrivano le forze dell’ordine, passeranno di lì per caso?

Marco entra nel tunnel, come Maradona. Anni più tardi io mi sarei pure beccato una querela per diffamazione da uno dei suoi spacciatori. Grazie a un quotidiano, dicevo, vedo l’Ansa, nonostante non sia contrattualizzato e ricordo che il dispaccio, si diceva una volta, aveva nomi, cognomi, età e paesi. Perchè sul Giornale di Sicilia avrei dovuto mettere al massimo le iniziali?

Io sono giustizialista. Domani, se io spaccio e chi compra la mia droga muore non faccio il furbo, se tutta la stampa italiana scrivesse. “Giornalista spacciatore di morte. Vanni Zagnoli, 52 anni, professionista freelance, da tempo riforniva di cocaina la tal persona, assieme ad altri 3 spacciatori. Risultano indagati per morte come conseguenza di un altro reato”.

Mi ci vedete a buttare tempo e soldi e a chiedere della presunzione di innocenza? Se uno furbeggia, secondo me perde di credibilità. Gli spacciatori alla fine sono stati condannati, direi 4, dovrei controllare, in ogni caso quel giorno la notizia era completa e verificata.

Guardavo Sky, mercoledì, appunto, sport24, lo tengo giorno e notte, da 15 anni almeno. Il gregario Marco Velo, l’ex capitano azzurro Davide Cassani spiegano che nell’inverno del 2004 il campione era perentorio, con gli ex compagni come con gli amici. “Se ho bisogno, mi faccio vivo io”.

Molto banalmente, se domani io mi drogassi e la depressione diventasse davvero seria, a malincuore, con la morte, nel cuore, Silvia Gilioli mi farebbe ricoverare.

Ho amici haters, su youtube, che mi deridono, ma se stessi davvero male credo arriverebbero al mio capezzale. Poi ho Antonio Liviero, Toni, de Il Gazzettino, Gian Luca Pasini, volley e vela, a La Gazzetta dello sport, che da anni mi dice di curarmi. Con l’omeopatia, l’umore è molto buono. Massimo Boccucci, Infopress, direttore, firma de Il Messaggero e di Corriere dello sport, e comunque un centinaio di persone riceve le mie segnalazioni, nei periodi più bui confesso proprio l’idea suicida da controbattere, facendo preoccupare magari Ario Gervasutti, al desk dei capiredattori, a Il Gazzettino.

Escluso 40 mesi a Carlino Reggio, dai 19 ai 22 anni e due mesi di contratto a Il Giornale, sostituzione estiva, allo sport, nel 2008, mai sono stato in redazione. Per 6 mesi, nel ’94, andavo a scrivere a L’Unità, qualcosa per la pagina locale, molto le mie collaborazioni.

Intendo, i compagni di squadra, gli ex, i tecnici, gli sponsor, i patron del ciclismo, i tecnici azzurri, i compagni di nazionale di Pantani come possono non avere capito che Marco rischiava di far del male a se stesso.

Io l’ho raccontato più volte, su youtube, in diretta per comodità, l’idea suicida da dover allontanare, al punto che nell’ottobre 2018, a lutto fresco, ovvero per la voglia di pubblicare in video tanto, sul basket, persi 25 anni di collaborazione al prestigioso Tuttosport, quotidiano sportivo di Torino, e la polizia stradale venne a suonare alla nostra porta, Silvia, Gilioli, dovette spiegare cosa significa per un libero professionista perdere una collaborazione nazionale.

Altra volta vado al pronto soccorso per un mal di pancia, semplici somatizzazioni, la delusione per lo stop decretato da Gianni de Pace, numero 2 storico, di Tuttosport, e con l’inganno, dalle 23 sino all’alba, dopo i ritardi proverbiali, mi trattennero sino all’alba. Quasi mi obbligarono a parlare con la psichiatra, che alle 9 mi prescrisse un antipsicotipico, non fu facile, due settimane più tardi dribblare la volontà del servizio di salute mentale di farmi seguire.

Poi racconterò bene la cura omeopatica.

Io ho perso papà Vasco nel 2002, soffocato da un boccone di cibo, a 64 anni, molto più di me ansia e depressione. Quand’era giovane provarono anche l’elettroshock, che poi si è scoperto molto pericoloso.

Pantani, dunque, mi chiedo perchè mamma Tonina e papà Paolo non abbiano fermato Marco. Viveva da solo, in quel periodo era in hotel. Andava fatto ricoverare, il famoso tso.

Lo adottammo con mamma Emilde, scomparsa l’ultimo dell’anno del 2016, di Alzheimer, nei confronti di papà Vasco, appunto, per due volte. La seconda era evitabile, la prima no, dal momento che rifiutava di curarsi.

Continuo a citarmi, intervistai il professor Francesco Conconi per Libero, per l’anniversario del record del mondo di Francesco Moser, e mi spiegò che Marco era come senza difese, trasparente, sensibilità allo stato puro.

In questi giorni, angustiato da mal di gola e difficoltà urinarie, mi chiedo, come sarebbe stata la vita di Marco se non avesse ingerito il cocktail letale di psicofarmaci e di droga? Temo ci avrebbe riprovato. Anzi, se l’allarme fosse partito in tempo, l’avrebbero salvato e tenuto in ospedale, controllato sino a quando non sarebbe stato meglio.

Marco era il ciclismo, cosa avrebbe fatto se fosse sopravvissuto.

Gianluca Pessotto, friulano di Latisana, 53 anni, passò dal Torino alla Juventus e fu titolare nel ciclo di Marcello Lippi, il primo. Disputò da titolare il mondiale del ’98, in Francia, con il giuliano Cesare Maldini ct, ed Euro 2000, in Belgio e Olanda, con Dino Zoff.

Uscì dal campo nel 2006, a 36 anni, iniziava a fare il dirigente della Juventus, una mattina si gettò dall’abbaino della sede bianconera, fu la reazione al matrimonio che stava evaporando. Si salvò e resta responsabile del settore giovanile, l’ho incontrato a Sky, grazie alla Lega Pro, con la seconda squadra della Juventus, per anni nel girone con venete e friulane.

Sono convinto che Pantani sarebbe rimasto nel ciclismo, come tecnico giovanile o come team manager, magari anche da direttore sportivo.

Anni fa Alessandra de Stefano, corrispondente Rai da Parigi, salvò dal tentativo di suicidio, annunciato, un corridore. L’aveva conosciuto fra giri d’Italia e Tour, poi sarebbe diventata direttrice di Raisport.

Ogni volta che dall’Emilia passo alla Romagna, in autostrada, l’occhio va sul monumento a Marco Pantani, una grande biglia in vetro, di quando era in maglia Mercatone uno. Nel 2002, direi, andai a un evento di quel team, presieduto da Luciano Pezzi, suo mentore. C’era il meglio della stampa ciclistica.

Un giorno che torno in Romagna cercherò la tomba. Vorrei filmare e pubblicare anche quella del cantore Adriano de Zan ma il figlio Davide, voce di Mediaset, sport, preferisce di no. E rispetto il suo volere, da amico.

In tanti hanno scritti libri, su Marco.

Tanto gli girò male, Lance Armstrong profittò del tumore ai testicoli di cui soffrì a 22 anni, direi, quando vinse il mondiale a Oslo, nel 1993, per doparsi, fece incetta di Tour e imprese, finchè venne smascherato. Pantani aveva capito che andava troppo forte per essere vero. Anche lui un po’ l’ha ucciso, non solo il poker di spacciatori.

Ripeto, i familiari ma soprattutto la fidanzata Christina, magari ex, in quei giorni, non avrebbero dovuto lasciarlo solo, bisognava fermarlo, ricoverarlo, i giornalisti non l’avrebbero saputo e Marco a 53 anni sarebbe ancora fra noi. Aveva una russa, mi pare, quell’anno, e di certo la frequentazione per Panta non fu fruttuosa.

Il Tour de France in partenza dalla Toscana, per la Romagna, l’Emilia e il Piemonte, ricorderà naturalmente Pantani.

Vincenzo Nibali non è stato in valore assoluto così inferiore a Marco, nè per continuità di piazzamenti ai massimi livelli, eppure è lontano dalla leggenda di Cesenatico.

La prima stesura dell’articolo pubblicato su “Enordest.it”

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