Su Il Giornale di Sicilia, domenica, l’intervista a Pozzecco. La versione integrale: “Io, Capo d’Orlando, Sacchetti, Recalcati e Varese”.

pozzecco gianmarcoQuesta è la versione integrale dell’intervista a Gianmarco Pozzecco uscita domenica su Il Giornale di Sicilia. Rispetto alla chiacchierata per Avvenire, è puntata molto su Capo d’Orlando.

Vanni Zagnoli
C’è una doppia favola, nella nuova stagione del basket italiano. A 42 anni, Gianmarco Pozzecco debutta come allenatore in serie A, alla guida di Varese che trascinò allo scudetto della stella, nel ’99, con Charlie Recalcati in panchina. E poi la risalita di Capo d’Orlando: non si era iscritta alla massima serie dopo la final eight di coppa Italia raggiunta con l’ex playmaker bizzoso e bizzarro e Meo Sacchetti allenatore.
Poz, questo mix quali sentimenti le suscita?
“Avere riportato l’Orlandina dove l’avevo lasciata mi fa enormemente piacere, per quanto abbiamo fatto in campo. Ho vissuto un’annata entusiasmante, analoga a quel 2007-08. Sapevamo che avrebbe fatto la serie A chi avrebbe vinto la semifinale con Verona. E’ stata meritata sul campo, dopo l’esclusione di Siena e la retrocessione di Montegranaro, che non ha potuto accettare il ripescaggio”.
Allora perchè non è rimasto?
“La chiamata di Varese mi ha messo in difficoltà nella scelta. Con la serie A restituita ai palatini, lascio con la coscienza pulita, una piazza che così soffre meno il mio addio. Nel Varesotto persino a fare la spesa ho attestati di stima clamorosi, tributi quotidiani che mi responsabilizzano. Qui non ero tornato come giocatore, non era giusto: avrei potuto farlo a fine carriera ma non sarebbe stata la stessa cosa. Quell’esperienza biancorossa era irripetibile, vivibile solo in quel periodo. Il mio desiderio era ripagare la famiglia Bulgheroni, oggi il presidente Cecco Vescovi. Da allenatore ho responsabilità e professionalità, sono molto meno scanzonato di quanto si pensi e do l’esempio”.
Intanto Sacchetti a Sassari disputerà ancora l’Eurocup. Si è aggiudicato la coppa Italia, sfuggita con Capo d’Orlando.
“Perdemmo ai quarti con Biella, ma in extremis. All’epoca avevo 35 anni, è l’unico coach con cui abbia collaborato. Da tecnico non mi piace fare il dittatore, a differenza di colleghi che hanno questo atteggiamento per paura di perdere la leadership. Amo un rapporto quasi paritetico, comunque serve il rispetto dal giocatore e questo non è semplice: quando lo levi dal campo, lo ferisci e tante volte non è facile far capire la logica di squadra. All’Upea, Sacchetti mi fece capire che ogni tanto non ero indispensabile, è un tecnico molto umano”.

Come si spiega il miracolo di questo centro di 13mila abitanti?
“Vivere nel Messinese è clamorosamente bello, il paese è accogliente e ospitale. Il giocatore è un essere vivente e se vive con maggiore serenità è probabile che questo migliori la performance. Molto merito è della famiglia Sindoni: il presidente Enzo ha un’intelligenza alta, il figlio Giuseppe ha conoscenza illimitata del basket e così si chiude il cerchio”.
In cosa consiste la loro abilità?
“Nel convincere grandi a scendere per dare lustro a questa terra. Adesso ci sono Basile e Soragna, in precedenza Enzino Esposito e prim’ancora Alessandro Fantozzi. In pochi si battono per un paese così minuscolo. Sindoni poteva essere un politico nazionale, poichè è un oratore di primissimo livello, si è sempre ripromesso di raccontarmi il perchè ha scelto di restare lì, comunque si sente gratificato così”.
Nell’Orlandina, dunque, restano i totem Gianluca Basile e Matteo Soragna, classe ’75.
“Eravamo stati tutti protagonisti dell’argento olimpico, un decennio fa, ad Atene. C’era coach Recalcati, mancò giusto qualcosa nella finale con l’Argentina. Con Gianluca siamo amici, per i tre anni trascorsi alla Fortitudo Bologna; Teo era mio compagno di camera in nazionale. Lego a loro i momenti più belli della carriera, sono persone straordinarie. La scorsa estate li avevo incontrati, ero molto lusingato che avessero scelto me e l’Orlandina: mi spaventava la confidenza totale che avevamo, la loro intelligenza però ha fatto la differenza. Fondamentale è stato anche Sandro Nicevic, il lungo croato ex Brescia”.
Lei come arrivò, nel Messinese?
“Lì giocava Francesco Orsini, ex Virtus Bologna. Era il prospetto più importante del basket italiano ma si ruppe un ginocchio, siamo amici fraterni. “Fidati di me e dei Sindoni – mi disse -. Se vuoi finire giocando in modo selvatico, qui è il posto ideale. E così fu, perchè le sue promesse si realizzarono”.
Le manca il calore della Sicilia?
“A Varese sono stato accolto clamorosamente bene, dopo 12 stagioni. Lì però avevo legami forti e veri, mi resteranno per sempre. Sono i posti ideali della mia carriera”.
Dove può arrivare l’Upea, con Giulio Griccioli?
“Molto in alto. E’ un allenatore capace, esordiente, ma questo inciderà poco e lo spero anche per me. Allenare in A è più complicato, lui peraltro è stato vice a Siena, il suo background garantisce serenità e David Sussi completa lo staff. Sono molto geloso di quei soliti 3 che guida: Basile, Soragna e Nicevic”.
Capo d’Orlando rappresenta veramente l’intera Sicilia, nel basket?
“Sì, anche perchè Barcellona Pozzo mai è arrivata in A1, al contrario di Trapani. In quella mia stagione da giocatore eravamo stati anche terzi e, con un pizzico di fortuna, saremmo arrivati alla finale di coppa Italia. Ora proprio Trapani spenderà molto per salire e anche Agrigento si sta facendo largo nella ex A2”.
Il Sud vanta altre due squadre sulle 16 di serie A: Avellino, vincitrice di una coppa Italia con Matteo Boniciolli, e Brindisi.
“L’economia si sviluppa al nord e questo si riflette abbastanza anche nella pallacanestro. Incide pure l’altezza media, in meridione è più bassa. Lì peraltro lo sport ha un seguito particolare, penso al Napoli di Maradona, al Palermo alla 10^ stagione in A su 11 e al Catania che per 7 volte di fila si era salvato. I meridionali sono passionali anche in amore. Però i danè, ovvero il denaro, aiutano”.
Il club peloritano può avvicinare il ciclo di Cantù, sempre in A1, escluso un biennio?
“Me lo auguro. E’ un posto talmente piccolo che avere una serie A di basket rappresenta un fenomeno senza eguali in Europa, relativamente a tutti gli sport più diffusi. La speranza è che sopravviva a qualsiasi crisi, perchè di certo lì i miliardari non sono tanti…”.
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