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Vanni Zagnoli
Di Gigi Riva, racconto l’amicizia con Fabrizio de Andrè, raccontata in teatro da Federico Buffa, con le canzoni interpretate da Marco Caronna, in “Amici fragili”.
Vorrei ascoltare tutti i sopravvissuti dello scudetto del Cagliari e/o del titolo europeo del 1968 e/o secondo posto al mondiale 1970, li ho intervistati spesso, in passato. Soprattutto amo i gregari, rispetto ai campioni come Gigi. E sono certo che nella sua enorme sportività egli la pensasse come me. I grandi club hanno anche grandi uomini, non tutti, e i gregari sono i preferiti dei campioni. A occhio Brugnera difendeva anche per Riva. E anche Bobo Gori.
Di Riva rammento la virtuale uscita ai quarti di finale, nelle qualificazioni a Euro 1972, poi vinti dalla Germania. L’uscita al primo turno al mondiale del ’74, in Belgio. Senza gli infortuni, avrebbe tranquillamente potuto arrivare a Spagna 1982, almeno restando in rosa. Era un altro calcio, oggi Cristiano Ronaldo punta al mondiale del 2026, anzi potrebbe tranquillamente reggere sino a Euro 28, a discreti livelli, quando avrà 43 anni. E non scherziamo.
Di Luigi Riva mi confortava la depressione nello scorso decennio, non è un segreto che io ne soffra, al pari di Vittorio Feltri, in passato, di Gianluigi Buffon, e di tanti uomini e donne, in particolare nelle nazioni più ricche. Situazione psicologica che Riva ha conosciuto nella senilità, oltre i 65, mentre nella mia traiettoria umana e professionale si è affacciata spesso e altrettanto spesso ritorna.
E poi la passione per le sigarette, che l’accomuna a tante persone, nel mondo. La voce è arrochita da esse, oltre che essere naturalmente profonda, per un certo tipo di dna.
Tornando all’aspetto calcistico, quel dato unico, 35 reti in 42 partite in nazionale. Ineguagliabile. Paolo Rossi ha vinto il pallone d’oro grazie al mondiale del 1982, ma è durato molto meno, ai massimi livelli, entrambi peraltro sono stati angustiati da infortuni, mezzo secolo fa il gioco falloso era molto più tollerato e in tanti hanno pagato interventi oggi da molte giornate di squalifica, ieri invece puniti magari con la semplice ammozione.
Riva raggiunse il podio del d’oro due volte, fu secondo nel ’69, dietro a Gianni Rivera, campione d’Europa con il Milan e l’anno precedente con la nazionale, ovviamente assieme a Riva. Venne preceduto di appena 4 punti. Nel 1970 fu terzo dietro Gerd Müller (Germania) e Bobby Moore (Inghilterra), che lo precedettero rispettivamente di 12 e 4 lunghezze.
Nel 1967 finì tredicesimo con 6 voti e nel ’68 sesto, a 39 voti dal vincente George Best, irlandese, del nord.
Di Giggi – come pronunciano a Roma quel nome – colpisce la fedeltà al Cagliari, il no alla Juventus, reiterato, e così è potuto esibirsi nelle coppe europee appena tre volte, fra i Campioni uscì subito, per mano dell’Atletico Madrid.
Rombo di tuono lo chiamava Gianni Brera, Gioanbrerafucarlo, re dei giornalisti sportivi, che una volta magari racconteremo con Gigi Bignotti, narratore su L’Unità e poi su Il Gazzettino, a inizio millennio, del grande scrittore pavese.
Sarebbe bello vedere il Cagliari quinto, dunque in Champions league, siamo lontanissimi. Quinto perchè se l’Italia quest’anno farà molto bene in Europa avrà una quinta squadra nel torneo più ambito e ne manterrà due in Europa league e una in Conference. Con 8, il nostro calcio eguaglierebbe il basket.
Mi sarebbe piaciuto vedere Riva titolare in nazionale già al mondiale ’62, in Cile – Pelè fu campione del mondo, a quell’età, nel ’58 -, a Euro ’64, in Spagna, al mondiale del ’66, dove Edmondo Fabbri, Mondino, neanche lo convocò, e poi un’Italia protagonista anche a Euro ’72, come detto, a Euro ’76, sempre uscita ai quarti, prima della fase finale, a Belgrado, in Jugoslavia, oggi Serbia. E poi al mondiale del ’78, in Argentina, peccato avesse già smesso, e lì c’era Paolino Pulici, attaccante altrettanto fisico, sempre partendo da sinistra. A Euro ’80, con gli azzurri quarti. Al mondiale dell’82 era in cabina radio Rai, con Enrico Ameri.
Da dirigente azzurro, si è fatto ben volere da tutti, ha vissuto il mondiale del ’94, di Sacchi, in particolare, con Ancelotti come vice. “Era diretto e utile nei suoi dialoghi con chiunque – dice Gianfranco Zola -, a me disse le parole giuste quando venni a concludere la carriera, in rossoblù”.
Da ammiratori di figurine, dei gregari, citiamo un’altra morte, esemplare, di quel calcio.
Giuliano Musiello. Aveva 70 anni, fu capocannoniere in serie B nel 1975-76, assieme a Roberto Pruzzo. Friulano, di Torviscosa, fu meteora alla Juventus, con Cestmir Vycpalek, lo zio di Zeman.
Poi giocò nella Roma e a Genova, a Verona e a Foggia.
Era un buon attaccante, favorito dalla chiusura delle frontiere dal ’66. Nel calcio di oggi avrebbe rischiato di non andare oltre una serie B da salvezza, invece giocò anche in A.
Quelle 14 stagioni furono proprio di altro calcio, senza stranieri, neanche naturalizzati e passaportati. Contro i 25 di oggi dell’Udinese, grazie alla legge Ekong. Era un piccolo simbolo di un calcio che non c’è più.
Un calcio che di sicuro piaceva a Riva. Fatti di italianità e bandiere, di calcio e calci, ma molto più vero rispetto alla tv, ai superstipendi di oggi. Un calcio di gente perbene, all’epoca fra l’altro le società non fallivano mai, o quasi.
Un giorno vorrei andare a Leggiuno, provincia di Varese, dove Gigi nacque. A Laveno Mombello, sempre Varesotto, e a Legnano, maglia lilla, squadra a lungo in serie C.
Sono stato in Sardegna una sola volta, in vacanza, con mia moglie, Silvia Gilioli. Vorrei tornarci per visitare le cattedrali, di Gigi. Dov’è stato celebrato il funerale, per filmare la tomba e raccontarlo in video, davanti, come sto facendo qui, e poi la Domus arena, il Sant’Elia. Soprattutto, l’Amsicora, dove venne vinto l’unico scudetto insulare nella storia d’Italia. Con una squadra da mandare a memoria
La prima stesura dell’articolo pubblicato su “Enordest.it”