Mensile di Dicembre – Assocalciatori. Calcio. Dino Baggio ricorda un episodio: “Per fortuna che il coltello a Cracovia mi arrivò dalla parte dell’impugnatura, altrimenti non sarei qua. Mi sarebbe piaciuto fare l’aeronautica o il militare”.

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Dino Baggio ai tempi del Parma

Vanni Zagnoli

L’altro Baggio è un po’ dimenticato dal calcio italiano. Qui si racconta dall’inizio della carriera, aspettando una nuova occasione dopo la stagione da viceallenatore della primavera del Padova, nel 2011-12.

Dino, diede i primi calci nel Tombolo, nella provincia patavina.

“A 5 anni – ricorda Dino, oggi 43enne – anche troppo presto. L’età giusta per me sono 6-7 anni, allora però l’unico giocattolo per me era il pallone e dunque all’epoca era normale iniziare tanto precocemente”.

Ha due figli: Leonardo, 12 anni, e Alessandro, 10, nelle giovanili del Padova. Faranno di sicuro i calciatori?

“Sarà eventualmente per merito, tenacia, passione e anche fortuna. Sono bene impostati, però la strada è lunga”.

Lei a 13 anni venne notato dai dirigenti del Torino.

“In particolare da Bruno Sola, padovano, osservatore per la zona. Mi fece disputare due provini, realizzai 5 gol in due partite e allora venni ingaggiato. Assieme a Luca Beghetto, che ha un anno meno di me: rispetto a lui ho avuto molta più fortuna”.

Luca è il meno noto dei Beghetto.

“Già, Luigi come attaccante ha giocato anche in serie A, idem Massimo, con me negli over 40. Giochiamo per puro divertimento, l’importante è trovarsi e magari andare a mangiare una pizza insieme”.

Da ragazzino era gracile?

“Non ero grande e grosso di certo. Lo sviluppo vero è avvenuto a 16 anni, con quasi 30 centimetri messi all’improvviso, con problemi alla schiena e alle ginocchia. Alla squadra Primavera arrivai al top della fisicità”.

L’esordio in serie A fu con i granata, al Delle Alpi, 0-0 con la Lazio, nel 9 settembre del ’90.

“Tutti 9 se fate caso, era proprio il 9-9-90, penso sia stato il mio numero fortunato. Giocai da difensore centrale e marcai Karl Heinz Riedle, centravanti tedesco e feci una buona partita. Rammento l’ingresso in campo, i brividi per l’emozione. Sparì tutto con l’inizio delal partita”.

E il primo gol è stato con il Cesena.

“Vincemmo 1-0, segnai nel recupero. Sulla panchina granata c’era Emiliano Mondonico, allenatore chiave per la mia carriera”.

Nel ’91 andò in prestito all’Inter, proprio a titolo di risarcimento, per il ritorno alla Juventus di mister Giovanni Trapattoni.

“Fu probabilmente l’unico caso di calciatore scambiato per un allenatore. Avevo firmato con la Juve, parlai con il presidente Giampiero Boniperti e mi avvisò della stagione fuori perchè in bianconero ritornava il Trap. Avevo 19 anni, per me andava bene, perchè comunque passavo in un’altra grande squadra. Ho accettato subito, senza alcun problema”.

Passò in nerazzurro, con Corrado Orrico, esonerato per lo spagnolo Luisito Suarez, e alla fine subentrò Luciano Castellini.

“Per me fu comunque un’esperienza molto positiva. Uscimmo presto dalla coppa Uefa, eliminati dallo Sporting Lisbona, neanche raggiungemmo l’Europa, eppure mi è servita quella stagione a Milano, con tre buoni tecnici. C’erano i tedeschi Brehme, Matthaus, Klinsmann, poi Zenga e Bergomi, Ferri e Berti. Segnai l’unico gol a Cagliari, finì 1-1”.

Nel ’92 tornò a Torino, ma sull’altra sponda…

“Ne conservo un grande ricordo. Vincemmo la coppa Uefa, con Giovanni Trapattoni, contro i tedeschi del Borussia Dortmund. Realizzai il pareggio per la Juve nel 3-1 d’andata e la doppietta al ritorno: 3-0. Per un centrocampista segnare tre gol in due gare di finale è un bottino ragguardevole. All’epoca c’erano l’avvocato Gianni Agnelli e Boniperti”.

Nel ’94 arrivarono alla Juve Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Roberto Bettega, la indussero a trasferirsi a Parma. Suonò strano, considerato il suo valore e le ambizioni bianconere.

“Facevano loro il mercato, non so perchè scelsero così. Era l’estate del mondiale negli Usa, a me interessava disputarlo senza distrazioni e allora la società gialloblù era al top. Fu protagonista ai campionati del mondo e successivamente passai alla squadra di Nevio Scala”.

Non sbagliò nulla, magari nei confronti della “triade”?

“Rifarei le stesse scelte. C’era soddisfazione da parte delle due società e anche mia”.

Buffon, Thuram e poi Cannavaro dal Parma si erano trasferiti alla Juve, per anni avevano spinto con la famiglia Tanzi per essere liberati. Sorprese che lei, titolare in bianconero, avesse scelto la provincia.

“I due grandi ex difensori cambiarono a quasi 30 anni, io ne avevo ancora 22. Il Parma all’epoca era in grande ascesa, difatti disputai 6 anni fantastici. Valeva Inter, Milan e Juve e lo dimostrammo”.

Nel ‘94-‘95 la lotta agli juventini fu totale.

“Loro vinsero lo scudetto, con un 4-0 al Delle Alpi, e la coppa Italia, al Tardini, noi la Uefa, segnai la rete dell’1-0 in casa e il pareggio nel ritorno, disputato a Milano, con uno spicchio di curva interamente parmigiana. C’erano quasi 100mila persone in uno degli stadi più belli al mondo, con il Delle Alpi indisponibile”.

Nel ’96 arrivò sulla panchina crociata Carlo Ancelotti, per due buone stagioni senza trofei ma con piazzamenti eccellenti.

“Ottime annate, nelle prima avremmo potuto vincere lo scudetto, fu però dura rimontare dopo una cattiva partenza, persino in zona retrocessione. Diedero l’ultimatum al mister: non avessimo vinto a San Siro, contro il Milan, forse lo avrebbero esonerato. Invece da quel successo, con gol del croato Mario Stanic, partì una rimonta impressionante. E’ come se fossimo arrivati primi”.

Poi arrivò Alberto Malesani, che autografò le tre coppe in 100 giorni.

“Cambiarono la metodologia degli allenamenti e pure gli schemi. Avevamo più centrocampisti e meno difensori, tutto sommato furono stagioni positive perchè quei tre trofei rappresentano molto per il Parma”.

La rosa non aveva eguali in Italia, allora, eppure lo scudetto sfuggì.

“Vincere il campionato lontano dalle grandi piazze è complicato, ce l’ha fatta il Verona, però 30 anni fa e con meritò. Centrò l’obiettivo la Sampdoria, noi no, ma avevamo davanti grandi squadre”.

Adesso fa specie l’avvicendamento di Carlo Ancelotti, unico assieme all’inglese Paisley a vincere tre Champions league, con Malesani, pluriesonerato.

“Carlo ha trovato l’ambiente giusto, a Milano e poi in Inghilterra, in Francia e al Real Madrid. E’ un grande uomo, oltrechè un grande tecnico. Ha solo 55 anni e vincerà ancora tanto”.

Le sue disavventure iniziarono in Polonia: le arrivò una coltellata in testa, dagli spalti, nell’andata dei sedicesimi di finale di coppa Uefa.

“Era a Cracovia, sul campo del Wisła. Mi prese di striscio, il dottor Manara all’inizio ingraffettò e poi servirono 5 punti di sutura: mi andò persino bene. Rientrai in campo perchè era importante passare il turno, mancavano 10’ alla fine. Pensavo a un accendino, mai avrei immaginato un coltello a serramanico, per fortuna mi arrivò dalla parte dell’impugnatura, diversamente forse neanche sarei qua adesso. Credo non sia mai successo, nello sport di un certo livello”.

C’è una partita che ha cambiato la sua vita. Era domenica 9 gennaio 2000, la prima nella storia del nostro calcio in orario meridiano, alle 13. Perchè commise un fallo tanto duro, a centrocampo, su Zambrotta?

“Fu un semplice intervento di gioco, venni espulso. Era il primo fallo, a mio avviso bastava l’ammonizione”.

Le sfuggì il gesto dei soldi rivolto all’arbitro Farina, di Novi Ligure.

“Lo rifarei ancora oggi. Era forse plateale, anticipò qualcosa di importante, poi venuto a galla”.

La sua sensazione è che il calcio italiano non fosse pulito già molto prima del 2006 e di calciopoli?

“Non lo so. Noi giocavamo, in campo magari ti accorgi di certe cose e di certi tipi di arbitraggi. Dopo è emerso tutto quanto accadeva e forse è uscito tanto che neanche noi immaginavamo. Era peraltro evidente che qualcosa non andasse”.

Quell’anticipo finì 1-1, con pareggio di Crespo al 93’, in 9 contro 11.

“Fu come una vittoria. Venne espulso anche Torrisi, era stata una partita irreale, ma il risultato fu più che giusto”.

L’anno scorso ha fatto pace, con l’arbitro Farina…

“Del resto non ce l’avevo con lui, ma con il sistema”.

Da quel momento lei non fu più titolare, nel Parma.

“C’era qualche problema e allora decisi di cambiare squadra”.

Passò a Roma, alla Lazio.

“All’epoca aveva vinto il campionato e possedeva una squadra fortissima, piena di campioni, si disputava la Champions league e decisi di andare lì. Inanellammo un terzo e un sesto posto, ma avremmo potuto soffiare lo scudetto alla Roma. La svolta negativa fu a Bari, pareggiamo 1-1: avessimo vinto, avremmo superato i giallorossi, mancava una giornata alla fine”.

A 32 anni il prestito in Inghilterra: al Blackburn Rovers, con un gol in 9 partite. Fu la sua unica esperienza all’estero.

“Eccellente. Ecco, tornassi indietro, anticiperei il passaggio in Gran Bretagna. C’è una cultura diversa, impari altro, un calcio sano e pulito. Restai per 7 mesi, arrivammo a metà classifica, raggiungendo la qualificazione Uefa”.

Nel gennaio 2004 il prestito all’Ancona, che però era quasi retrocessa. Disputò 13 gare.

“Feci gli ultimi tre mesi. Il gruppo era buono, ma era impossibile salvarsi, per il distacco eccessivo”.

Ritornò alla Lazio e assieme a Paolo Negro fece causa per mobbing al presidente Lotito.

“Con il cambio di gestione mi ritrovai fuori rosa, senza motivo. Sostenevano che non stessimo bene ma non era vero, avevamo tanto di prove mediche a nostro credito. Ci lasciarono fuori un anno, vincemmo la vertenza”.

Semplicemente il presidente voleva risparmiare i soldi del vostro ingaggio?

“Non sarebbe stato un problema, visto che eravamo in scadenza di contratto. Avrebbe potuto stabilire lui la cifra, anche farla spalmare in 2-3 stagioni, non c’erano problemi”.

Chiuse nel 2005 alla Triestina, in serie B con 3 presenze.

“Provai a fare un’esperienza vicino a casa, a nordest, però il calcio cadetto è molto diverso dalla serie A. Incontrai Alessandro Calori, un ragazzo eccezionale che debuttava in panchina: fu una delle poche note positive di quei tre mesi”.

A quasi 37 anni, nel febbraio 2008, tornò in campo per una gara in Terza categoria.

“Ero fermo da oltre due anni, non fu facile riprendere”.

Capitolo nazionale. Vinse l’Europeo under 21.

“Con Cesare Maldini. Fu il primo di tre successi azzurrini di seguito. C’era Antonioli in porta, Bonomi, Favalli, Luzardi e Verga in difesa, Sordo, Albertini e Corini in mezzo, Melli e Buso davanti”.

Nel ’92 fu protagonista alle Olimpiadi di Barcellona.

“Il calcio non è seguito come l’atletica e altre discipline, in quella competizione. Da noi contano Europei e Mondiali, però è stato appagante stare assieme a campioni di altri sport”.

Esordì in nazionale nel ’91, a Foggia.

“Come terzino destro, fu una delle poche partite in quel ruolo, mi provò il ct Arrigo Sacchi, vincemmo 2-0”.

La prima rete arrivò due anni più tardi, a Oporto, 3-1 al Portogallo.

“Un classico tiro da 40 metri, bello e fondamentale perchè ci giocavamo la qualificazione al mondiale. Il vantaggio fu di Casiraghi, io raddoppiai e chiuse Roberto Baggio. Realizzai anche al ritorno, a San Siro, 1-0 e pass per gli Usa”.

Ecco, negli Stati Uniti visse il miglior mese della sua carriera.

“Per un calciatore il campionato del mondo rappresenta il top, in pochi arrivano alla finale, furono settimane ricche di soddisfazioni e sacrifici. All’inizio faticavamo, passammo per il buco della serratura, con la Nigeria e raggiungemmo l’ultimo atto”.

Segnò contro la Norvegia.

“Avessimo pareggiato, saremmo stati eliminati, e quella fu la rete più importante. E poi contro la Spagna, prima del raddoppio di Roberto Baggio. Con Sacchi si tentava di imporre il gioco, eravamo a zona e cambiava sempre l’avversario da fronteggiare”.

Quali maglie ha conservato?

“Conservo quella di Zè Maria, che peraltro non giocò in quel mondiale, del ’97. Era mio compagno nel Parma”.

L’Italia del 2006 è diventata leggenda, grazie ai rigori sulla Francia. La nazionale di Sacchi non è ricordata abbastanza, per l’impresa di avere portato il Brasile a giocarsela dal dischetto.

“Sempre rigori di mezzo, a noi andò male, a Lippi bene. Erano due ottimi nazionali, a volte serve anche un po’ di fortuna, si sa che è una lotteria”.

Perchè lei non calciò?

“Ero dal sesto in poi, avessimo proseguito a oltranza sarebbe toccato a me. Non ci arrivammo”.

Sbagliarono Roberto Baggio, che era il migliore specialista italiano, Massaro e Franco Baresi. Questi ultimi erano le opzioni migliori?

“Il capitano al Milan ne aveva calciati, idem Daniele. Quando arrivi in fondo a una competizione del genere, c’è chi se la sente e chi no. Sacchi chiese a diversi, magari qualcuno declinò l’invito: andò a battere chi ha forte personalità. I cinque erano designati, io ero pronto per la sequenza successiva”.

Ricordiamo che non è parente di Roberto Baggio…

“No, eppure siamo molto amici. Per me resta un grande campione e un grande uomo”.

Ecco, se quel rigore contro Taffarel fosse entrato, anzichè finire alto?

“Fa niente. Evidentemente doveva andare così. Dispiace perchè non siamo diventati campioni del mondo. Il più dispiaciuto resta sicuramente lui”.

Meritavate il titolo? Sacchi sostiene che i rigori premiano sempre chi ha giocato meglio.

“Il Brasile ci era stato leggermente superiore. Facemmo una grande difesa, non riuscivamo ad attaccare, perchè mancavano le forze. Fu una partita equilibrata, sino alla fine”.

All’epoca tra i protagonisti c’era anche Antonio Conte, oggi ct.

“Fece pure la sua parte. E’ giovane, come allenatore, sta facendo molto bene, è giusto che tecnici del suo profilo abbiano chance e una grande carriera”.

Agli Europei ’96 Dino Baggio si mostrò a un livello inferiore.

“Altre avversarie e una competizione differente. Incontrammo difficoltà, due anni dopo, uscimmo male. Peccato perchè giocavamo un buon calcio. Sarebbe bastato battere la Germania, nell’ultima gara di qualificazione. Finì 0-0, con l’errore dal dischetto di Zola. Avessimo vinto, magari avremmo fatto strada. In fondo i tedeschi divennero campioni”.

E anche ai mondiali di Francia, nel ’98, era sempre titolare.

“Portammo i padroni di casa ai rigori, con Cesare Maldini ct. Fosse entrato quel tiro di Roberto Baggio, nei supplementari, saremmo arrivati in semifinale, poichè vigeva il golden gol. Avessimo passato i quarti, sono convinto che avremmo raggiunto nuovamente in finale. Disputammo un grande campionato del mondo, sino al confronto con la squadra ospitante, sempre ostica da fronteggiare”.

Di fatto chiuse con l’azzurro il 13 novembre 1999, Italia-Belgio 1-3, a Lecce.

“Ottima gara, eppure prendemmo un’imbarcata incredibile, in amichevole”.

Avrebbe dovuto essere titolare anche agli Europei di Belgio e Olanda, nel 2000.

“Invece non vidi più la Nazionale. Pensare che il ct Dino Zoff stravedeva per me. Avrei potuto dare il mio contributo, ero ancora titolare, evidentemente doveva andare così”.

Fu squalificato per due partite e multato dal Parma per 200 milioni di lire, proprio per quel gesto dei soldi all’arbitro Stefano Farina. Saltò l’amichevole contro la Svezia del febbraio 2000, per decisione del presidente federale di allora, Luciano Nizzola, oggi 81enne.

“Mi disse che era per dare l’esempio. “Stai fuori una-due partite e poi rientri”. Il fatto è che non sono più rientrato. Avevo intuito come andarono le cose, nel libro Gocce su Dino Baggio c’è un po’ tutto: è adatto a un pubblico di scuole medie, dell’età dei miei figli, e pure agli adulti”.

Ma quella scelta venne promulgata da Moggi?

“Non posso sapere se ci fu una telefonata, certamente la cosa mi puzzò molto”.

Ha più rivisto Moggi e Giraudo?

“No. E neanche mi interessa. Vivo la mia vita”.

Per il mondiale del 2002 non fu mai in lizza?

“Non venni mai considerato per le convocazioni. Con Trapattoni avevo disputato un biennio splendido, alla Juve, con bei successi. Mi insegnò tanto e risultò per me come un padre di famiglia”.

Ha giocato con entrambe le torinesi, all’Inter e alla Lazio, fra le grandi più tradizionali le sono mancate solo Milan e Roma…

“Nella capitale, avendo giocato nella Lazio non potevo certo passare alla parte giallorossa. Sono stato vicino al Milan per due volte, per poco non passai in rossonero. Era una grande squadra in cui avrei potuto far bene”.

Quando fu in procinto di passare alla corte di Silvio Berlusconi?

“Nel momento del passaggio dalla Juve al Parma, non trovarono però l’accordo le società. E poi quando Thuram passò alla Juve, sembrava destinato al Milan e io avrei dovuto seguirlo ma saltarono entrambi i trasferimenti”.

Oggi in chi si rivede?

“Marchisio e Montolivo sono centrocampisti prolifici, Claudio ha tecnica, corsa e fisicità. Riccardo è al Milan, idem. Chi nel loro ruolo segna 6-7 gol incide davvero tanto”.

Quanto ha guadagnato, in carriera?

“Quanto era giusto, nè più nè meno”.

Con questo calcio guadagnerebbe molto di più?

“I contratti sono aumentati al vertice, ma pure diminuiti, alla base. Alcuni prendono veramente poco, una volta c’era più livellamento”.

Non avesse fatto il calciatore?

“Mi sarebbe piaciuta la carriera militare: in aeronautica o magari in marina”.

Tre stagioni fa era stato vice di Paolo Favaretto, allenatore della primavera del Padova.

“E maestro di tecnica per l’intero settore giovanile biancoscudato”.

Da allora è in attesa di una nuova opportunità.

“Mi dedico alla famiglia, faccio il papà e il marito”.

Di Maria Teresa Mattei, ex ragazza di Non è la Rai e nel cast di Buona Domenica, sino al matrimonio.

“Ancora oggi la contattano in tanti, su facebook. E anche a me arrivano molti messaggi, non solo da Parma”.

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