Assocalciatori.it. La Lupo Martini, squadra di immigrati, soprattutto calabresi, è in Oberliga, quarta serie tedesca.

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Giovedì l’Inter ha ospitato i tedeschi del Wolksburg, è l’occasione per raccontare una storia bellissima del nostro calcio, di emigrazione dal sud verso la Germania. Perché nel paese della Volkswagen, dove vengono prodotte vetture fra le più popolari al mondo, dal 1962 c’è una squadra di italiani ora protagonista nella Oberliga, equivalente della serie D. E’ la Usi Lupo Martini, il presidente si chiama Rocco Lochiatto, è vibonese, di Acquaro, e rappresenta il nostro Paese nella Rft, ovvero nei campionati tedeschi.
“Era la stagione 1962-63 – racconta – quando la Lupo venne fondata da un gruppo di connazionali emigrati dal Sud in cerca di lavoro, nella bassa Sassonia”.
All’epoca la fabbrica andava benissimo a tanti e proprio lavorare alla catena di montaggio era già un bel traguardo, perché offriva la sicurezza economica. Costruivano maggioloni e in maggioranza arrivavano dalla Calabria. Gente onesta, magari di livello culturale non elevato. La prima denominazione fu Isc (Italienischer Sport Club) Lupo.
In fondo ancora oggi quasi 55mila persone sono occupate grazie alla Volkswagen.
“Oltre duemila arrivarono qui a inizio anni ’60. Avevano la tuta blu, alloggiavano alla Berliner Brücke”.
Ovvero il ponte di Berlino, una sorta di “baraccopoli”, dove poi è nata la “Volkswagen Arena”, lo stadio del Wolksburg.
L’insediamento venne realizzato dall’amministrazione locale, era fatto di casupole sovraffollate e appena decorose. E proprio in quella zona, 6 anni fa, il Wolksburg vinse la prima Bundesliga della storia, con i campioni del mondo di Berlino 2006: Andrea Barzagli, poi riportato in Italia dalla Juve di Delneri, e Cristian Zaccardo, tornato in serie A grazie al Parma, voluto da Guidolin che lo valorizzò al Bologna e al Palermo.
La Lupo sintetizzava l’orgoglio dei calabresi emigrati lassù, all’epoca i capi delle 16 baracche organizzavano partitelle di svago, in maniera da distrarsi dal lavoro e da avvertire meno la nostalgia di casa.
Là dormivano anche 4 persone in una stanza di 12 metri quadri, situazioni ancora attuali, in certe località, anche in Italia. Prendevano sonno magari in due letti a castello e pagando 30 marchi al mese ottenevano quel posto letto costosissimo, considerato che lo stipendio era di 160 marchi.
“C’erano due gabinetti per piano – spiega il presidente onorario Armando Gobbato – e ogni baracca aveva 32 stanze, 16 per piano. Ci si lavava in fabbrica, alla fine di ogni turno”.
Venne allora realizzato un piccolo campionato di italiani all’estero, con 14 squadre. “Finché si creò una squadra unica con i calciatori più credibili che sfidavano i germanici”.
L’idea venne al dottor Cervellati, il medico del campo, bolognese, al cappellano don Enzo Parenti, già direttore del Corriere d’Italia, uno dei giornali più letti dalla comunità italiana in Germania. Un contributo arrivò anche da Anacleto Raimondi, assistente sociale al quale gli operai italiani si rivolgevano se avevano bisogno di scrivere una lettera o di compilare moduli da consegnare alle autorità.
“La chiamarono Lupo – spiega Gobbato, 75 anni -, in tedesco “Wolf” (come in inglese, peraltro, ndr), in onore della città che ci ospitava”.
Quella squadra era memorabile per il temperamento e catalizzava mille spettatori in trasferta e 3mila in casa. I calciatori erano bollati come “spaghetti fresser”, ovvero “mangiaspaghetti”, termine dispregiativo che in tedesco indica il modo di mangiare degli animali. Faticavano anche a imparare la lingua per cui i rapporti con la gente locale furono ancora più difficili. Le gare con i tedeschi sono sempre state tesissime, con gomiti alti, calci e persino offese. All’epoca fra l’altro era consentito un solo straniero per squadra ma venne richiesta una deroga al regolamento. Il campo non aveva l’erba, era in terra battuta e dunque le sbucciature erano inevitabili: non esistevano le tribune e allora la gente si portava le sedie da casa. Il presidente era l’istintivo Matteo Genetiempro e un calciatore, Ferrara, metteva in tasca sassi, nel riscaldamento, da tirare agli avversari senza farsi vedere dall’arbitro.
Quando poi gli italiani residenti a Wolsfsburg diventarono 12mila fondarono una seconda squadra, la Us Martini. Avvenne nel 1970, sull’abbrivio del 4-3 fra Italia e Germania, ai mondiali del Messico, la partita della leggenda. Martini era il cognome di uno dei fondatori o forse del famoso liquore, fatto sta che il gruppo di calciatori mostrava maggiore classe rispetto ai colleghi della Lupo.
La rivalità venne superata un terzo di secolo fa, con la nascita della Usi Lupo Martini, nel 1981. La nuova società inanellò successi nei campionati provinciali, un anno sopperì persino a 15 punti di penalizzazione in classifica, e soprattutto in casa era imbattibile.
“Non passa lo straniero – sorridono i due presidenti – era un bel motto e c’era tanto pubblico”.
Da anni la prima squadra milita nella serie D tedesca, dal 2003-04 è allenata da Francisco Coppi, 46 anni padre toscano e mamma spagnola, dell’Andalusia. Fra i tesserati ci sono sempre quasi tutti operai che si alternano in fabbrica, con soli rimborsi spese. E il centro sportivo ospita centinaia di ragazzi, figli di italiani di seconda e terza generazione, ma di varie nazionalità.
Tre anni fa, per il mezzo secolo della fondazione della Lupo arrivarono 5 ex milanisti (Franco Baresi, Costacurta, Massaro, il francese Papin e Vieri) per un triangolare con il Wolfsburg e la Lupo, che schierava fra gli altri Giuseppe Genetiempro, figlio dell’ex presidente, Angelo Gilbo, Giovanni Carboni, Luciano Mileo e Mario Barberi.
Vinsero i rossoneri ma fu festa per tutti, con 50mila euro devoluti al settore giovanile.
L’esempio di riferimento della Lupo Martini è la Turn – Sportsverein Bayer 04 Leverkusen, asociazione ginnico–sportiva Bayer 04 Leverkusen, fondata nel 1904 e di proprietà della Bayer AG, azienda chimico farmaceutica tra le più grandi al mondo. Ieri sera i tedeschi sono usciti ai rigori negli ottavi di Champions, contro l’Atletico Madrid. Ora il Wolksburg ha eliminato l’Inter e la nostra comunità di là aveva il cuore diviso a metà.

Vanni Zagnoli

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