Il Calciatore. Gli ex allenatori ricordano Piermario Morosini a 3 anni dalla morte. Dominissini: “Con Sensini lo feci debuttare in Europa, nell’Udinese, era maturo a dispetto della gioventù”. Cecconi: “Inconsueto trovare giovani giocatori tanto seri”. Carlo Sabatini: “Ce l’ha portato via un’ingiustizia unica”

BERGAMO, ITALY - JANUARY 09:  (Lto R) Vincenzo Camilleri of Albinoleffe competes with Piermario Morosini of Reggina during the Serie B match between Albinoleffe and Reggina at Stadio Atleti Azzurri d'Italia on January 9, 2010 in Bergamo, Italy.  (Photo by Dino Panato/Getty Images)
Piermario Morosini

Sul mensile dell’assocalciatori, Il Calciatore, gli allenatori che l’hanno valorizzato ricordano Piermario Morosini.

Vanni Zagnoli

Il vuoto per la morte di Piermario Morosini non si colmerà mai. Il 14 aprile di tre anni fa si è spento per una crisi cardiaca causata da una rara malattia ereditaria. Si è accasciato durante Pescara-Livorno, indossava la maglia dei toscani, è morto subito dopo essere stato trasportato in ospedale.

Era un sabato come tanti, alla mezzora del primo tempo di una normalissima partita di calcio, il “Moro” arresta la sua corsa, a soli 25 anni.

Ha vestito la maglia del Vicenza tra il 2007 e il 2009 e poi nel 2011, per un totale di 91 presenze e un gol. In terra berica (e in tutte le piazze in cui ha militato) si è sempre fatto apprezzare perchè, al di là delle doti tecniche, era davvero una persona speciale; umile, disponibile e sorridente, a dispetto delle tante prove dolorose a cui la vita lo aveva sottoposto.

Diventò adulto quando aveva sedici anni. In rapida successione perse entrambi i genitori, Camilla e Aldo, eppure questo tosto bergamasco riuscì a reagire grazie a un carattere fortissimo dentro un’anima nobile.

Si diplomò ragioniere, per assicurarsi il futuro una volta appese le scarpe al chiodo. Ma la vita lo mise di nuovo alla prova: il fratello Francesco morì in circostanze tragiche, la sorella Maria Carla è gravemente ammalata, ricoverata in una casa di cura perchè nella mente resterà sempre una bambina.

Ma Piermario tiene duro. L’amore per la sua ragazza, Anna Vavassori, pallavolista lo aiuta. Tre anni fa aveva partecipato, commossa, alla festa dell’Atalanta, organizzata dalla curva nord a Orio al Serio. Era stata l’unica circostanza in cui in pubblico aveva parlato del suo Mario e della tragedia: fra i singhiozzi ringraziò i tifosi per l’enorme affetto dimostrato nei confronti del suo fidanzato.

Piermario era nato il 5 luglio 1986, aveva mosso i primi passi da calciatore nel fertile settore giovanile dell’Atalanta. Centrocampista duttile, sapeva interdire, ma pure impostare grazie a un’ottima tecnica di base che non è passata inosservata ai tecnici azzurri, che lo hanno convocato nell’under 17, nel 2001. In under 21 vantava 18 presenze, nel 2005 l’Udinese ne acquista la comproprietà. Debutta in serie A il 23 ottobre di 10 anni fa, contro l’Inter poi in coppa Uefa. A lanciarlo in Europa fu Loris Dominissini, che allenava i bianconeri in tandem con Nestor Sensini.

“Giocò titolare a Sofia – ricorda da Udine “Domini”, in attesa di una nuova panchina dopo l’avventura in Belgio -, anche un’ottima partita. Gli avevamo dato un po’ di spazio, lo meritava perchè era un ragazzo molto discreto, educato, un lavoratore”.

Com’è stato lo stesso Domissini da calciatore, in particolare nella Reggiana di Pippo Marchioro, salita dalla serie C alla A. “Nonostante la gioventù, era molto serio”.

Nel 2006-07 passò al Bologna, in serie B, con Ulivieri allenatore e poi Luca Cecconi. L’ex attaccante era il tecnico in seconda, venne promosso per le ultime 10 partite, ora segue spesso l’Empoli, la squadra in cui si era rivelato e di cui aveva guidato la “primavera” per 4 anni.

“Del Moro ho un bel ricordo – riflette Cecconi, abitante a Santa Croce sull’Arno (Arezzo), dove gioca la Cuoiopelli -, era un ottimo giocatore e un bravissimo ragazzo: maturo e serio, in gamba e molto rispettoso. Era educato, sempre applicato e attento. Nel calcio professionistico non è facile trovare giovani con queste caratteristiche”.

In quel Bologna disputò 16 partite. “Avevamo una rosa giovane, lo impiegai spesso, anche da titolare. Ebbe soddisfazioni, in un momento difficile, dal momento che fu esonerato Ulivieri. Mancammo i playoff, semplicemente perchè fu l’unica volta in cui non si disputarono, con Juve, Napoli e Genoa”.

Nel 2007 arrivò a Vicenza, per due stagioni con Angelo Adamo Gregucci in panchina e un gol in 66 gare.

Quindi il passaggio alla Reggina, sempre in serie B, con Novellino e poi Ivo Iaconi come allenatore.

“Ho avuto giusto il tempo di capire che era un professionista esemplare – spiega da Giulianova il tecnico che il fratello Andrea Iaconi, ds, aveva portato al Brescia -. Era un ragazzo perbene, la sua perdita è stata una grave mancanza. Mi sono trovato molto in sintonia, con persone così è facile andare d’accordo. La sua morte fu un brutto colpo, per tutti noi che l’abbiamo conosciuto”.

Dal punto di vista calcistico, il “Moro” aveva soprattutto una qualità: “La disponibilità all’interpretazione tattica, vedeva sempre le cose prima degli altri. Pensava alla squadra, è un centrocampista che ogni allenatore vorrebbe guidare”.

Dal gennaio 2010, passò al Padova, con Carlo Sabatini come allenatore.

“Era un giocatore educatissimo e disciplinato – spiega l’attuale allenatore del Como – senza mai una parola fuori posto o un comportamento sbagliato. Io l’avevo conosciuto già a Udine, da collaboratore di Serse Cosmi. In Friuli arrivò dalla primavera dell’Atalanta, educato in un modo perfetto. Arrivò in maglia biancoscudato che era già affermato, forte delle esperienze con l’under 21”.

Ripensando a quei 6 mesi, Sabatini si commuove ancora.

“Era ragazzo eccellente, unico, anche per la duttilità del ruolo. Tutti gli allenatori che ha avuto ne parleranno sempre bene perchè era realmente così, benvoluto. E’ veramente un’ingiustizia unica, che ci sia stato portato via”.

Per il 2010-2011, Morosini tornò a Udine, Guidolin però non riusciva a dargli spazio e allora lo riprese il Vicenza in B, per altre 15 presenze. Iniziò poi la sua ultima stagione da professionista ancora in Friuli, salvo essere ceduto in prestito al Livorno, di nuovo in cadetteria, con 8 presenze.

Il suo ultimo allenatore fu Armando Madonna, in attesa di una nuova chance dopo le esperienze in Lega Pro al Portogruaro e all’Albinoleffe.

“Avevo preferito non parlarne mai – spiega il tecnico bergamasco, 52 anni -, perchè la situazione di Pescara era molto particolare e personale. Quell’immagine mi aveva veramente colpito, stessa cosa accadde al pubblico. Fra l’altro lo conoscevo perchè come mio figlio Nicola (ora allo Spezia, ndr) era cresciuto nel settore giovanile dell’Atalanta. Avevo conosciuto il padre e il fratello di Piermario, andai al funerale di entrambi”.

Nonostante fosse stata colpito da tanti dolori, quel ragazzo era incredibilmente sereno e sorridente.

“Tutti ne conoscevano il dramma, perse la mamma a meno di 15 anni e il papà neanche maggiorenne. Gli restava la sorella, ma non sta bene. Era di una serenità e voglia di vivere fuori dal comune, di grande disponibilità. Aveva entusiasmo, per questo colpiva tutti quanti l’avevano conosciuto”.

Gli stessi ora vedono in maniera diversa tanti aspetti della vita.

“Cambia la prospettiva, metti davanti componenti che prima non pensavi. Anche per me è stato di insegnamento, perchè se penso a come ha vissuto questo suo percorso, devo per forza avanzare. Senza squadra dovrei essere abbattuto, invece ho l’esempio di Piermario: andava di corsa, a mille all’ora, gli piaceva vivere intensamente”.

Ora Armando Madonna è contento che Morosini venga ricordato.

“La speranza è che la sua morte sia servita a qualcosa. Parecchie società sono coinvolte nel tenerme viva la memoria. Nel calcio si dimentica alla svelta, questa storia ha colpito molti, speriamo serva da deterrente, anche nei controlli, perchè questi decessi non si ripetano”.

Di certo, però, in quel sabato non c’era modo di salvare Piermario.

“Non credo, se ragiono in base all’istinto, perchè in ambulanza non dava segnali di ripresa. Non so se si potesse fare qualcosa, poi è stata evidenziata la malattia rara per cui è accaduto”.

Oggi Morosini avrebbe 29 anni e forse sarebbe in serie A. Già all’epoca aveva richieste, preferì la B per trovare più spazio.

Era ben voluto da molti, non a caso Gianluigi Buffon gli ha dedicato la vittoria in Champions league sul Monaco, l’1-0 di Torino firmato Vidal su rigore. Il calcio italiano non lo dimenticherà.

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