Assocalciatori.it: “Fermi tutti questa è un rapina”. 40 anni fa moriva Luciano Re Cecconi. I libri di Guy Chiappaventi e di Sandro Di Loreto con il figlio Stefano Re Cecconi. I dubbi di Maurizio Martucci: “Mai pronunciata quella frase. Lo sceneggiato censurato sino al 2012. Lo shock di Ghedin al quale il gioielliere puntò l’arma. Le pressioni degli orefici per farlo scagionare”

L’integralità del pezzo in ricordo di Luciano Re Cecconi. Qui in più c’è una parte del racconto uscito lunedì su Repubblica

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“Fermi tutti, questa è una rapina”. In realtà era uno scherzo a un gioielliere, finito in tragedia.

Quarant’anni fa, oggi, la morte di Luciano Re Cecconi, il motorino del centrocampo della Lazio del primo scudetto.
A Roma è stato davvero un re, non solo per il cognome. Era un angelo biondo, alquanto somigliante all’esterno serbo Dusan Basta, alla 4^ stagione in biancoceleste.
Luciano nasce a Nerviano, nel Milanese, il 1° dicembre del 1948 (avrebbe 68 anni), muore a 28.
Inizia all’oratorio di Sant’Ilario Milanese poi con l’Aurora Cantalupo, di Cerro Maggiore. L’infanzia di Luciano è fatta di scuola al mattino e di lavoro al pomeriggio, inizia presto a guadagnare qualcosa come calzolaio, poi da garzone in un negozio di frutta e verdura, infine come meccanico. Con le macchine se la cava bene e si costruisce una Fiat 500 praticamente partendo dalla scocca. Ma il calcio è la sua passione, va a giocare nell’Aurora Cantalupo, in 1^ categoria. Si alza alle 4 per andare al lavoro e alle 15 va al campo. Nel ’67 arriva in serie C, nella Pro Patria, 36 presenze e il soprannome di Cecconetzer: ha i capelli biondi e una spiccata somiglianza con Günter Netzer, centrocampista della Germania. Lo lancia Carlo Regalia, allenatore dei bustocchi e poi ds a lungo in serie A e B. Guida il centrocampo, con forza e qualità, così si merita il passaggio al Foggia, dove rimane 3 stagioni, con Tommaso Maestrelli. Due gol in 74 presenze, le prime 14 sono nel campionato della promozione in A, poi la retrocessione. E’ di nuovo protagonista in B, con mister Ettore Puricelli, uruguayano scomparso nel 2001.
Nel ’72-73 raggiunge Maestrelli alla Lazio, è titolare in quel terzo posto a due punti dalla Juve campione. La stagione successiva è scudetto, con Re Cecconi protagonista, 2 gol in 23 partite, ne salta 7 per infortunio.
La Lazio non può disputare la coppa dei Campioni, a causa della rissa negli spogliatoi dell’Olimpico, dopo il ritorno dei sedicesimi Uefa contro l’inglese Ipswich Town. Tre anni di squalifica europea, poi ridotta a uno, il campionato è deludente. Ancora di più il ’75-’76, con le cessioni eccellenti, anche di Giorgio Chinaglia. Il ritorno di Tommaso Maestrelli (morirà il 2 dicembre 1976 per un tumore al fegato) porta alla salvezza grazie alla differenza reti migliore rispetto all’Ascoli e a partite maestose del biondo lombardo. Ne gioca 25, è sempre molto concreto e diventa il perno della nuova Lazio, assieme al 20enne Bruno Giordano. In panchina arriva Luis Vinicio, l’ex cannoniere del Napoli, la Lazio perde 2-3 all’Olimpico con la Juve ma Luciano Re Cecconi segna un gol capolavoro, sarà l’ultimo della carriera. Alla terza d’andata, contro il Bologna, un fallo del terzino rossoblù Tazio Roversi gli provoca un grave infortunio al ginocchio sinistro e lo costringe a diversi mesi di stop.
LE NAZIONALI. Luciano arriva in azzurro nell’under 23, il ct Enzo Bearzot lo fa esordire il 14 gennaio 1973 ad Ankara, dove l’Italia vinse 3-1. Viene convocato anche in nazionale, senza debuttare, nelle amichevoli contro il Brasile a Roma e l’Inghilterra a Londra. Il ct Ferruccio Valcareggi lo porta ai mondiali di Germania Ovest nel ’74, senza impiegarlo nelle tre partite del girone. L’Italia esce subito, Luciano però si fa apprezzare per le doti umane.
Sarà Fulvio Bernardini a farlo esordire nell’amichevole in Jugoslavia del 28 settembre, a Zagabria è sconfitta per 1-0. Re Cecconi gioca tutta la partita, mentre il 29 dicembre entra nel secondo tempo, nello 0-0 di Genova contro la Bulgaria, al posto di Causio. Ha chances di rientrare nel giro anche con Bearzot, verso il Mondiale del ’78. E’ un centrocampista grintoso, incontrista eccellente, instancabile cursore.
LA MORTE INCREDIBILE. Insieme al compagno di squadra Pietro Ghedin, veneziano, quel 18 gennaio del 1977, verso le 18,30 si reca alla profumeria di un amico, Giorgio Fraticcioli, in via Francesco Saverio Nitti, nella zona di Vigna Clara, a Roma. A pochi passi c’è l’oreficeria di proprietà di Bruno Tabocchini, 44 anni. Insieme all’amico profumiere, Re Cecconi e Ghedin concordano uno scherzo al proprietario della gioielleria, che l’8 febbraio 1976 aveva subito una rapina autentica, durante la quale aveva ferito e poi fatto arrestare il rapinatore, Angelo Amatucci. Una leggerezza, nel pieno degli anni di piombo. Ghedin e Re Cecconi entrano con le mani in tasca, il bavero alzato e pronunciano, forse, la classica frase: “Fermi tutti, è una rapina!”.
Il proprietario del negozio neanche guarda, afferra una rivoltella calibro 7,65 e spara un colpo che colpisce Re Cecconi all’emitorace destro. Il centrocampista crolla a terra, arriva l’ambulanza e viene trasportato a tutta velocità all’ospedale San Giacomo. L’operazione è inutile, muore alle 20.04. Fra i primi ad accorrere sono i compagni di squadra e il presidente Umberto Lenzini, pietrificati dal dolore. Il portiere Felice Pulici è l’unico a vederlo all’obitorio, gli altri non ce la fanno. Ghedin è in preda alle convulsioni e in stato di shock.
Tabocchini viene poi arrestato e accusato di “eccesso colposo di legittima difesa”. Il processo avviene appena 18 giorni dopo, ottiene l’assoluzione per “aver sparato per legittima difesa putativa”. Nonostante il parere contrario del pubblico ministero Franco Marrone, la Procura di Roma non presenta ricorso in appello.
L’ULTIMO LIBRO Il resto è interrogativo, sviscerato da varie pubblicazioni. Da pochi mesi è in libreria di Guy Chiappaventi, inviato de La7, con ”Aveva un volto bianco e tirato”: editore Tunuè, 14,90 euro, pagine 143.
Lunedì, su Repubblica, Marco Mensurati ha ricostruito la tragedia, partendo dalle parole dell’orefice, nel libro. “Ho sparato contro Re Cecconi, ho sparato a questo che poteva sparare a me”.
– Quanti colpi?
(piangendo) Un colpo. Poi nel cadere diceva: è uno scherzo, uno scherzo. Ma che si scherza in questa maniera?”.
Quel pomeriggio era piovoso e freddissimo, costò la vita a Luciano, uomo equilibrato e brillante, e la cambiò allo sventurato assassino. “Un mistero cupo e irrisolvibile – scrive Repubblica -, maledetto da un esito giudiziario che, per quanto probabilmente equo (il gioielliere è stato assolto per legittima difesa), risulta ancora oggi inadeguato a spiegare cosa successe quella sera: mai come nel caso Re Cecconi la differenza tra colpa e responsabilità è stata così netta; mai come nel caso Re Cecconi la pietà risulta essere l’unica chiave d’interpretazione dei fatti”.
“Si spara in quel modo?» si chiedono i parenti del “Cecco”, ovvero la moglie Cesarina (conosciuta a Busto Arsizio e all’epoca poco più che ventenne e incinta di Francesca) e il figlio Stefano, che aveva due anni. “La scena è stata analizzata con cura e mirabile distanza giornalistica, serve contestualizzare i fatti, molti dei quali contraddittori e traballanti, e dar loro un senso, cercando di elencare infine i molti dubbi che restano vividi, sul tavolo, dopo 40 anni”.
Dunque quella sera, Re Cecconi e Ghedin con l’amico profumiere bussano al negozio di Tabocchini. Quello, a cenni del capo, chiede a Fraticcioli, vicino di bottega, se i due uomini siano suoi amici. Sì. “Tabocchini apre – si legge nel libro e su Repubblica —. I tre entrano. A quel punto, secondo Tabocchini, la moglie e un macellaio presenti alla scena, Re Cecconi pronuncerebbe la famosa frase: «Fermi tutti è una rapina». Secondo Fraticcioli si sarebbe limitato a dire: «Fermi». Ghedin in un primo momento conferma la tesi di Tabocchini («mi disse che quello lì si era attrezzato come in un bunker, e poi: “adesso gli facciamo uno scherzo”), poi, al processo, cambia idea. Nessuno scherzo. Fatto sta che Re Cecconi e Ghedin hanno i baveri alzati e le mani in tasca. Tabocchini tira fuori una Walther 7,65 senza sicura e con il cane sensibilizzato. La punta contro Ghedin che alza le mani, poi la rivolge contro Re Cecconi che però non fa altrettanto, e preme il grilletto. Insomma, non spara d’impeto, ma ha tempo per pensare. Leggendo il libro si intuisce un certo scetticismo circa la tesi dello scherzo. Più probabile un incidente, un gioco tra due conoscenti finito male. Anche se il gioielliere negò di aver riconosciuto la sua vittima”.
Chiappaventi ha peraltro il merito di ricostruire l’immagine di Re Cecconi, considerato fascista e superficiale. Insieme a Luigi Martini, era leader dell’”altro spogliatoio”, di quella Lazio indomabile e violenta, dominata da Chinaglia e Wilson. Quella che negli alberghi dei ritiri sparava a tutto, per gioco, anche agli interruttori, per spegnere la luce.
E il gioielliere Tabocchini certamente aveva la pistola facile, ma nel ’77 in Italia si sparava per strada ogni giorno. “Solo l’anno prima – sottolinea Mensurati – c’erano stati 1591 omicidi, 9406 rapine, e 286 sequestri di persona. In quella Roma che ribolliva piombo, con la malavita fuori controllo e la banda della Magliana prossima al grande salto, le ore prima della chiusura dei negozi, erano chiamate l'”ora brutta”. Ed è stato forse tutto questo, più ancora dello scherzo o dell’incidente, ad aver condannato Re Cecconi”.
IL FIGLIO STEFANO. Un altro libro su Re Cecconi è curato da Sandro Di Loreto, giornalista, assieme a Stefano, figlio dell’ex centrocampista. “Lui era mio papà”, venne pubblicato nel 2008, con la prefazione di Walter Veltroni, per Edizioni Reality Book; 125 pagine, prezzo 10 euro. Contiene i ricordi e le emozioni del giornalista Guido De Angelis, del vice allenatore Bob Lovati, scomparso nel 2011, nello stesso anno di Maurizio Maestrelli, figlio del mister, e di Giancarlo Oddi.
La tragedia avviene nel quartiere Flaminio e il carattere estroverso di Re Cecconi suggerisce lo scherzo fatale. Un’intera città rimane attonita, appena un mese dopo la dolorosissima perdita del suo allenatore Tommaso Maestrelli.
La testimonianza è dell’altro figlio del mister, Massimo, gemello di Maurizio: “Luciano Re Cecconi e mio padre erano insieme da Foggia. Quando mio padre venne alla Lazio, il presidente Lenzini gli chiese quale giocatore avrebbe voluto, e lui fece il nome di Luciano, che per noi era come un fratello. Lo portiamo nel cuore e crediamo che ci sia qualcosa di più grande dopo la morte…”.
Alla presentazione di quel libro intervenne anche Daniela Sandri, la mamma di Gabriele, l’ultras biancoceleste ucciso nel 2007 dall’agente Luigi Spaccarotella, poi condannato a nove anni e quattro mesi in Cassazione, per omicidio volontario.
In questi giorni Stefano Re Cecconi preferisce non parlare, all’epoca venne coinvolto da Di Loreto. “Voleva che lo si ricordasse da vivo e non da morto – spiegava l’autore -. Il figlio era titubante, per la sua riservatezza, alla fine ha accettato”.
E Stefano ringraziava così, per l’affetto verso la famiglia. “Non è mai mancato, mi ha aiutato molto a crescere meno solo. Mio padre amava molto i colori laziali”.
Il ricordo dell’ex portiere Felice Pulici, classe 1945, spesso ospite su Raisport, raccolto su lazionet.it da Gerardo Picardo, in quel pomeriggio: “Luciano è ancora presente in mezzo a noi. Era una persona umile, consapevole dei propri limiti. Soprannominato ‘il saggio’, perché voleva sempre comprendere tutto e non lasciava nulla al caso. È sempre stato molto disponibile con tutti e metteva il cuore in tutto quello che faceva, pur senza mai perdere il contatto con la realtà”.
Scrive Walter Veltroni: “Luciano Re Cecconi non conosceva il significaro del verbo ‘arrendersi’. Una zazzera bionda che rappresentava energia allo stato puro. In quel viale di Villa Lais che porta il suo nome, da un bellissimo pomeriggio di novembre 2003, sono passati migliaia e migliaia di ragazzini. Molti con il pallone in mano. Ed è anche così che non tramonterà mai il mito di quel biondo col numero 8 che, senza saperlo, era già l’archetipo del calciatore moderno. Uno che faceva a fette gli avversari aggredendo gli spazi e tagliando il campo come nessuno”.
Scrive il figlio Stefano: ‘‘È rimasto sospeso nel tempo, è rimasto quel sogno bambino che ti fa amare un calciatore, un sogno che ti vive dentro e ti accompagna”.
LA LAZIO DEL PRIMO TRICOLORE. Ha Pulici in porta, Wilson libero e capitano, Oddi lo stopper, Petrelli a destra, Martini a sinistra. A centrocampo Nanni e Re Cecconi agiscono ai lati del regista Frustalupi, scomparso in incidente stradale). Il 20enne Vincenzo D’Amico libero di inventare sulla trequarti per Chinaglia e il guizzante Garlaschelli, a destra.
Martini ricordava la sicurezza che Re Cecconi dava ai compagni durante la partita: ‘‘Gli uomini che marcavo io erano Sandro Mazzola, Claudio Sala, Franco Causio, Bruno Conti. Dovevo fare grande attenzione e allora guardavo Luciano. Uno sguardo d’intesa e andavo. Lui copriva e io ero tranquillo”.
Di quella Lazio Vincenzino D’Amico è il talentino. Un giorno Re Cecconi gli regala un cucciolo di pastore tedesco. “Non a caso lo chiamavano ‘il saggio’ – spiegava -. Amava la sua maglia, il numero 8 biancoceleste. Era un legame particolare, indissolubile, che è durato fino ad oggi, oltre la morte. La sua scomparsa fu uno schiaffo improvviso e inaspettato. Ancora mi sento male quando ci penso e quando vado a trovarlo dove riposa”.
“Era una Lazio spavalda e irriverente”, raccontava Mauro Mazza, laziale, ex direttore del Tg2. La sintesi è proprio un gol di Re Cecconi nell’anno dello scudetto, quando contro il Milan la piazzò all’ultimo minuto, battendolo. Luciano non rilasciava molte interviste, preferiva fare il suo mestiere, giocare al calcio, macinare il campo metro per metro, minuto per minuto”.
Correva sempre con il suo numero 8 bianco. “In un calcio semplice, pulito. Non ricordo un fallo brutto. Era un uomo semplice e le persone così non fanno male”.
ROMANZI E CANZONI. In un vecchio poster di ‘Momento-sera’, Cecco guarda un pallone di cuoio che sembra scendere dal cielo.
Nel 2011, un altro momento toccante è nella biblioteca del calcio della fondazione Gabriele Sandri, con i cimeli dell’angelo biondo esposti in mostra. Intervengono anche il cantante Tony Malco (autore di “Un riflesso biondo), lo scrittore Giancarlo Governi e l’ex campione olimpico di scherma Stefano Pantano.
Re Cecconi anche è il titolo di una canzone dell’orchestra Casadei, nell’album “Ciao mare” del 1973, quando a 24 anni è al top della carriera.
E Carlo D’Amicis si ispira a Luciano per il romanzo “Ho visto un re” (casa editrice Limina), uscito nel ’99 e ristampato nel 2012.
“LE FORZATURE DEL PROCESSO”. E’ di 5 anni fa anche il libro inchiesta dello scrittore Maurizio Martucci, che attacca la versione ufficiale dello scherzo finito in tragedia: “Luciano venne ucciso senza aver pronunciato una parola”. Si chiama “Non scherzo. Re Cecconi 1977, la verità calpestata (Libreria Sportiva Eraclea, 2012).
“A Roma – raccontava nell’intervista di Andrea Curreli – Luciano faceva innamorare le ragazzine e veniva dipinto come un latin lover anche se non lo era affatto. Il processo a chi sparò fu anomalo e pieno di pecche. Quel gioielliere viveva in un clima d’ansia, aveva già subito una rapina vera, scatenando una sparatoria a cielo aperto. Tabocchini, dunque, era una corda di violino, emotivamente molto provato. Fu una incomprensione: tira fuori la pistola e la punta su Ghedin, poi gira l’arma su Re Cecconi sfiora il grilletto e parte un colpo mortale. Era priva di sicura e con il cane sensibilizzato, quindi è bastato spostare l’arma e sfiorare il grilletto per colpire il calciatore. E’ una dinamica assurda”.
La versione dello scherzo venne avvalorata perché “l’unico che parlò con la stampa fu il gioielliere. L’altro testimone oculare dell’omicidio era Pietro Ghedin. Quella sera andò a dormire a casa di Gigi Martini, suo compagno di squadra e amico inseparabile di Re Cecconi. Ghedin gli raccontò che ‘Cecco’ non aveva fatto nulla. Nei giorni successivi, probabilmente pressato dall’opinione pubblica, Ghedin cambiò versione”.
Anche in tribunale ne fornì due diverse. “Nella frase preliminare disse che non c’era stato nessuno scherzo, mentre durante il processo ribaltò le sue parole. Dagli atti emerge che anche il giudice gli domandò perché stesse cambiando parere. La tesi dello scherzo a quel punto venne avvalorata anche dal profumiere e nessuno ebbe il coraggio di indagare oltre”.
Perché? “C’è un altro elemento molto importante di questa vicenda: Re Cecconi venne bollato politicamente”.
La tesi di Maurizio Martucci merita attenzione, a prescindere. “Allora La Lazio veniva bollata dai mezzi di informazione come una squadra marcatamente schierata a destra. Re Cecconi era un paracadutista e quindi l’equazione fu molto semplice: aveva un disprezzo per la vita e voleva viverla in modo spericolato, quindi si era meritato quella pallottola. Non era assolutamente così, si disinteressava della politica”.
Con questo libro, lo scrittore romano di 43 anni vince il premio nazionale di saggistica “Più a Sud di Tunisi” e sostiene che Luciano non abbia mai detto: “Fermi tutti, questa è una rapina”. “Emerge chiaramente dagli atti processuali, fu la lobby degli orafi a sostenerlo. All’epoca era una categoria molto forte politicamente, costantemente vittima di rapine. I gioiellieri erano presi di mira dal sottobosco eversivo e dagli extraparlamentari di destra e sinistra che utilizzavano le rapine per l’autofinanziamento. Fecero una petizione popolare e presidiarono per 18 giorni il tribunale di Roma, stringendosi intorno a Tabocchini e pretendendo la sentenza di assoluzione. Contemporaneamente Re Cecconi venne abbandonato dalla tifoseria laziale, nè fu sostenuto dall’opinione pubblica dopo la demonizzazione subita da parte della sinistra”.
La moglie Cesarina era giovanissima non aveva seguito il processo e neanche visto le carte. Papà Alfredo era impegnato come operaio, con mamma Cecilia aveva altri 3 figli. E sulla vicenda un film venne censurato dalla Rai: si intitola L’appello – Il Caso Re Cecconi, mai diffuso nè visto, neanche da chi l’aveva interpretato.
“La prima assoluta – spiegava Maurizio Martini – fu il 18 gennaio 2012 durante la presentazione del mio libro. Il film venne realizzato nel 1983 e svelava tante verità nascoste, ma venne subito censurato perché la famiglia del gioielliere si oppose denunciando la Rai e lo sceneggiatore. La causa è andata avanti per 13 anni e per tutto questo periodo il tribunale ha intimato alla Rai di non mandarlo in onda. La tv di stato vinse la causa, ma poi non l’ha mai diffuso”.
E’ stata Rai3, con Sfide, il 29 ottobre del 2012, a trasmettere per la prima volta alcuni passaggi del toccante sceneggiato.
E un pizzico di mistero resta, a 40 anni dalla morte di Luciano Re Cecconi, angelo biondo che correva a perdifiato.
di Vanni Zagnoli

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