Da Atleticalive.it, Andrea Benatti. Su Libero l’ode smisurata a Franco Bragagna, re del “racconto”. “Ma le digressioni non devono diventare il focus”

(v.zagn.) L’interpretazione del pezzo su Libero, di Fabrizio Biasin, da parte di Andrea Benatti, di atleticalive.it

http://www.atleticalive.it/31340/lode-smisurata-a-franco-bragagna-re-del-racconto-su-libero-e-la-nostra-risposta/

Fabrizio Biasin, sull’edizione odierna di Libero, si lancia a quella che lui stesso definisce una “ode smisurata” a Franco Bragagna, The Voice per quanto riguarda l’atletica leggera, come noto. Ma non solo, se seguite gli sport invernali. L’articolo mette a nudo le indubbie capacità di Bragagna, e ci siamo permessi, in fondo, di dire la nostra. L’esordio dell’articolo è peraltro pirotecnico:

“Franco Bragagna sa tutto. Tutto. Forse si serve di suggeritori esperti, forse può disporre di succulenti «Bignami» dai quali attinge, ma quando parla sembra la Treccani”.

Biasin rivela che la folgorazione gli sarebbe arrivata durante la cerimonia di inaugurazione della Olimpiadi.

“Franco Bragagna è un fenomeno del racconto sportivo in presa diretta. I «Bignami», per dire, se anche esistono non gli servono a una mazza quando si tratta di discutere di atletica”.

L’articolo, dopo aver raccontato un dialogo chissà se aneddotico o inventato, continua con gli elogi:

“Franco Bragagna è la Bibbia dell’atletica, ma soprattutto è maestro del racconto. Quando parla non usa enfasi «a caso», se si gasa c’è un motivo, un perché. Altrimenti, semplicemente, ti dice quello che vede. Franco Bragagna, a volte, rischia la figura da «saputello», ci tiene a far vedere che ne sa più di chi gli sta attorno e il dato di fatto è che sì, 99 volte su 100 ne sa più di chi gli sta attorno”. 

Secondo il giornalista di Libero, Bragagna lavorerebbe pure gratis per la Rai, ma chiaramente non lo dice perchè “non è un pirla”. E lavorerebbe gratis:

“…per l’azienda e per l’amore bestiale che prova nei confronti di pentatleti, centometristi, astisti, lanciatori del peso e per Attilio Monetti, storica ex seconda voce”.

Il pezzo si conclude così:

“Capisci dal tono di voce che per lui «il racconto dell’atletica» è una missione, lo intuisci da quello che dice e da come lo dice. Franco Bragagna ti fa venire voglia di sport perché trasmette la sua, di voglia. A volte eccede, non si trattiene, dice la sua su faccende scomode, fa capire che su Schwazer ha la sua bella opinione e se ne frega se qualcuno gli fa notare «non si fa». Franco Bragagna, come tutti, non è perfetto, ma l’altra sera ha raccontato la storia del portabandiera di San Kitts e Nevis come fosse figlio suo e, scusatemi, io mi sono emozionato”.

Biasin, a mio parere, ha centrato l’obiettivo. Bragagna è il re del racconto televisivo. Negli anni lo ha sempre più affinato sino a trovare una teatrale impostazione del narrato, un timbro di voce ricercato, potente, ipnotico. E non poteva che fare centro in una manifestazione come l’inaugurazione dei Giochi Olimpici. I tempi necessariamente rallentati della rappresentazione hanno indubbiamente ingigantito le sue capacità. Aggiungiamo che il bagaglio culturale del giornalista Rai è di proporzioni abnormi: del resto come sarebbe possibile mettersi davanti ad un microfono (come fanno diversi suoi colleghi) senza conoscere il linguaggio di uno sport, senza conoscerne il passato e il presente di quello stesso sport, senza conoscerne i retroscena e gli aneddoti? Incredibile ma vero, molti lo fanno, svilendo lo sport che raccontano, mancando di rispetto ai suoi attori.

Detto questo, però, una critica la voglio fare. E’ proprio il punto di forza sottolineato da Biasin, il narrato di Bragagna, che non collima più con il racconto in presa diretta dell’atletica. Le invasioni spaziali del racconto invadono sempre di più la stretta attualità, la diretta, l’entusiasmo crescente dell’evolversi delle gare. Il narrato ruba spazio a fette alla creazione della suspense che dovrebbe portare il telespettatore ad essere coinvolto sempre più nella gara, sino all’apoteosi dell’ultimo rettilineo o dell’ultimo salto. La caratterizzazione dei personaggi è fondamentale, ma lo spettatore paga il biglietto per guardare una rappresentazione, non per conoscere quello che è successo dietro le quinte prima di salire sul palcoscenico. Per quello, i tempi televisivi, danno modo di farlo.

Il racconto, durante le dirette, dovrebbe (secondo me) essere quello dell’evento stesso, portando nei tempi morti alle digressioni e agli approfondimenti. Ma se le digressioni divengono il focus, trasformano inevitabilmente le immagini in qualcosa di poco comprensibile: una sorta di “dislessia” tra immagini e parole. Tra l’altro poco aiuta Bragagna la scelta delle telespalle, che inevitabilmente sembrano essere relegate a comparse (oltre agli interventi di personaggi singolari che si esibiscono in veri e propri sproloqui di saccenza che costringono lo zapping ad un migliaio di telespettatori al minuto di esibizione, o al tasto “muto”). Ecco, lo spettatore dello sport del XXI secolo vuole “velocità”, “attaccamento all’immagine”, trascinamento, esaltazione. Il racconto deve aiutare a creare l’attaccamento all’immagine, non la sostituzione tout court. Vuole notizie durante la gara della gara, non del prima e del dopo: per quello c’è tempo.

Ecco, secondo me Bragagna ha raggiunto un livello di evoluzione che dovrebbe portarlo a trovare un ruolo come quello di su Sky. Un giornalista che racconta storie, che porta i telespettatori ad innamorarsi delle gesta di sportivi di cui non conosceva i reconditi retroscena. L’altro giorno sono riuscito ad impressionarmi di un servizio di Buffa sul telecronista televisivo uruguaiano Victor Hugo Morales che lavora per la TV argentina, e che raccontò con la maggior enfasi mai sentita in tv il gol di Maradona ai mondiali di Mexico ’86. Poesia, giornalisticamente parlando, benchè l’argomento sia del tutto inusuale e probabilmente poco attrattivo. Ecco, Bragagna forse è ad un livello in cui la cronaca diretta degli eventi gli è diventata troppo stretta (del resto ha vissuto tutto quello che è successo nell’atletica negli ultimi 30 anni…  dal vivo) e che probabilmente dovrebbe trovare un suo posto come narratore della storia dello sport.

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