Avvenire, basket. Il racconto di Reggio alla prima finale, Menetti è lo chef diplomato in miracoli: “La testa conta più delle gambe. E in tanti siamo reggiani”.

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Un allenamento del Banco di Sardegna.

VANNI ZAGNOLI

da Reggio Emilia

E’ la città del primo tricolore, datato 1797, sogna il primo scudetto davvero importante della storia: il titolo del basket. E’ avanti 2-0, avendo dominato le prime due gare in casa. La Reggio d’Emilia se ne aggiudicò 5 nel volley femminile, l’ultimo nel ’78, e uno nell’hockey pista (1982), ma a pallacanestro sarebbe diverso.

“In fondo – racconta Massimiliano Menetti, 42 anni, tecnico della Grissin Bon – anche noi siamo differenti dalle altre squadre. Perchè giovani e italiani”.

Già, bastava dare un’occhiata distratta alle partite di playoff, nei quarti con Brindisi e con Venezia in semifinale per rendersene conto. Nella finale con Sassari c’è il record di nazionalità rappresentate, 11, compreso lo Zimbabwe del centro reggiano Chikoko. “Noi, però, abbiamo minutaggi alti per gli azzurri e i giovani. Questa politica aveva già messo in bacheca l’Eurochallenge, un anno fa”.

Menetti ha 42 anni, è l’allenatore meno anziano della serie A (in 7 partite ha eliminato il 69enne Recalcati) e l’unico nello sport ai massimi livelli a guidare la squadra della propria città. “Sono nato a Palmanova, in Friuli, ma arrivai qua a soli 6 mesi. A Reggio è tutto speciale, si mangiano i cappelletti e si beve il Lambrusco: sintetizza appieno l’affidabilità della mia squadra”.

Menetti ha il diploma di chef, colto a Salsomaggiore Terme, nel Parmense. “Era per questo che Dado Lombardi, il mio primo maestro, ripeteva sempre: “Male che vada andrai a fare il cuoco…”. Mancino, autografa maglie e disegna difese insuperabili, però ha dovuto combattere i pregiudizi. Non è stato giocatore a livelli significativi, nè sembrava avere la grinta per sfondare, perciò la sua gavetta è stata lunga 14 stagioni, comprese 5 nel femminile, con la promozione in A1. Sempre a Reggio. Debutta da capo allenatore nel 2006, retrocede nonostante la bella rimonta finale. Resta e torna a fare il vice, poi segue Fabrizio Frates nelle Marche, sempre come secondo, a Montegranaro. E’ stata la sua unica esperienza lontana dall’Emilia. La svolta quando Frates deve fermarsi un mese per una colica renale. “In LegAdue ci salvammo all’ultima giornata, da lì la crescita è stata costante, con promozione, tre qualificazioni ai playoff e alle final eight di coppa Italia, con due semifinali”.

La finale di queste settimane esalta la reggianità della Grissin Bon. Assieme allo sponsor, sono locali il patron Stefano Landi, leader in Europa degli impianti a gas (metano e gpl), dirigenti e segretarie. “In squadra – aggiunge Menetti – abbiamo il centro Cervi e l’altro lungo Pini è di Carpi, ma cresciuto in biancorosso, e il playmaker Mussini, classe ’96”.

Per queste finali è infortunato, come (man)Drake Diener, miglior giocatore proprio a Sassari, la scorsa stagione. I minutaggi dei titolari dunque sono molto alti, da basket anni ’80. “Le assenze non ci condizionano – osserva Menetti -, giochiamo con intelligenza e coraggio. Conta la testa, prima ancora delle gambe”.

Comunque reggono quelle di Rimantas Kaukenas, 38enne sulle orme di Mike Mitchell, semifinalista a 41 anni. Da ragazzo visse la guerra in Lituania, ora ha una fondazione che aiuta bambini malati di cancro. “E’ il nostro Tevez, come personalità”, dice Menetti, tifosissimo della Juve. E’ stato il dg Dalla Salda a fargli avere la maglia dell’Apache.

Amedeo Della Valle gioca la finale a 22 anni. “Ha lo spirito di Chiellini. Il lettone Silins possiede la classe di Pogba, mentre Polonara è la nostra torre, come Llorente. Capitan Cinciarini, invece, regge il confronto con Buffon”. E Menetti, naturalmente, si ispira all’altro Massimiliano. “Allegri”.

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