Enordest.it. I nuovi italiani che vincono tutto. E la malinconia del vecchio “El Flaco”

(enordest.it)

https://www.enordest.it/2024/05/19/i-nuovi-italiani-che-vincono-tutto-e-la-malinconia-del-vecchio-el-flaco/

Vanni Zagnoli

Il nostro zizzagare settimanale stavolta tocca atletica leggera, calcio e ginnastica.

Partiamo dal super pomeriggio di Savona, un meeting che è diventato chiave, negli ultimi anni, compreso l’allora record dei 100 di Filippo Tortu, 9”99, stavolta ne sono arrivati due.
I riflettori sono per Zaynab Dosso, sui 100 metri, la distanza più affascinante, la velocità. Deteneva il record italiano in coabitazione con Manuela Levorato, veneziana, di Dolo, in 11”14.
Questo era il nostro incontro con Levorato, a Padova, dove vive
https://www.youtube.com/watch?v=QDkvQFbntLY

Zaynab ha 24 anni, in batteria già stabilisce il primato, 11”12 sotto la pioggia, poi questo straordinario 11”02, con meno di un metro di vento a favore. La chiamano Za, è nata a Man, non nell’isola britannica ma in Costa d’Avorio, e il suo nome in arabo significa saggezza.
Prendiamo la sua storia da vanityfair.it, a firma di Furio Zara.
“Quando i genitori sono partiti per l’Italia, Zaynab era una bimba di tre anni. A Man è stata affidata alle sue cinque nonne. Il nonno, infatti, aveva cinque mogli, come è possibile secondo la legge ivoriana. E’ arrivata in Italia a dieci anni, raggiungendo la sua famiglia. E’ cresciuta a Rubiera, in provincia di Reggio Emilia. A tredici anni ha scoperto l’atletica. Una passione dirompente che da allora ha marcato a ferro e fuoco le sue giornate. A diciassette anni ha acquisito la cittadinanza italiana. Già nei campionati giovanili il suo talento è esploso, a suon di record. Ha passato un periodo difficile dopo un infortunio muscolare.
L’ha superato, con la fiducia che la contraddistingue. Questo è il suo anno. L’aveva annunciato: «Sono consapevole delle mie qualità. è giunta l’ora di alzare l’asticella». E’ stata di parola. «Sono pronta, questo è il momento giusto per fare qualcosa di importante». Nei primi mesi del 2024 ha migliorato tre volte il primato italiano dei 60 al coperto fino a 7.02 e ai Mondiali indoor di Glasgow, diventando la prima finalista azzurra di sempre nello sprint, ha vinto il bronzo. Tra le sue passioni ci sono la fotografia e il ballo. Gareggia per le Fiamme Azzurre, si allena a Roma, seguita da Giorgio Frinolli, che ha proseguito il lavoro della sua prima storica allenatrice, Loredana Riccardi. La sua fonte di ispirazione è Marcell Jacobs, con cui ha avuto il piacere di allenarsi per alcuni mesi.
Gli Europei di Roma e i Giochi di Parigi sono i prossimi obiettivi. Sfondare il muro dei 11 secondi diventa ora possibile”.
Come una medaglia agli Europei e la finale olimpica.
Pochi minuti dopo, Leonardo Fabbri scaraventa il peso a 22,95 metri, migliora di quattro centimetri il leggendario 22,91 – datato 1987 – del campione olimpico Alessandro Andrei.«Finalmente mi sono preso questo record provinciale», scherza un commosso Leo, dopo aver tolto lo storico primato a un altro fiorentino. «Ho visto piangere il mio allenatore Paolo Dal Soglio e ho pianto anch’io. Per me Andrei significa tutto, se sono qui è grazie a lui. Ho sempre avuto vicino la sua ombra crescendo, mi mancava solo questo record».
La prima gara che vinse furono i 50 metri.
“Già a sei anni – raccontava a Sergio Arcobelli, su Il Giornale – mio papà Fabio (10”9 di personale sui 100 metri) mi portava al campo. Era stracontento di avere un figlio velocista. Poi sono cresciuto e non potevo fare altro che lanciare».

Stupefacente anche il balzo di Mattia Furlani, che nel lungo si prende per un centimetro in 8,36 metri il record del mondo under 20.
«Finalmente, lo cercavo da tempo ed è arrivato. Siamo sulla strada giusta».
Questo era il nostro incontro con lui al festival della Gazzetta dello sport.
https://youtu.be/HNGsMsr5UnY
Furlani è nato a Marino, ha vissuto a Grottaferrata e ora si allena a Rieti, sempre nel Lazio. Frequenta il liceo scientifico sportivo privato. Con il fratello ha aperto un canale Youtube dove racconta le sue giornate, su Instagram ha quasi 52mila follower ma, sicuramente, il numero è destinato a crescere.
“Tifoso della Roma malato”, è stato invitato all’Olimpico a dicembre.
Giocava a basket sino a 5 anni, ama il salto in alto, di cui il padre Marcello è stato un ottimo azzurro.
Mattia è figlio di Khaty Seck, velocista di origine senegalese, è la sua allenatrice. La fidanzata, Giulia, corre i 100 e i 200.

Passando al calcio, due domeniche fa è scomparso Luis Cesar Menotti, aveva 85 anni e fu il ct del primo titolo mondiale dell’Argentino. El Flaco cercava l’efficacia della bellezza. Allenò anche la Sampdoria, nel 1997, durò soltanto 8 giornate. Il presidente era Enrico Mantovani, figlio di Paolo, in avanti c’erano Jurgen Klinsmann e Sandro Tovalieri, entrambi sul finale di carriera e meno competitivi rispetto allo sperato.
La sua storia è raccontata da Zeta.it, da Giuseppe Masciale.
Il filosofo Tomas Abraham disse di lui: “Nel 1978 rinchiuse i giocatori per mesi in un laboratorio, senza donne, a cibarsi di vitamine e a giocare“.
Chimico mancato, di simpatie comuniste, amava suonare al piano Scarlatti e Vivaldi e aveva un concetto della bellezza tutto suo. A Genova disse: “La Fiorentina dovrebbe giocare secondo i tratti di Michelangelo o il genio di Leonardo, perché quello è il suo patrimonio e quello deve essere il suo stile”.

Menotti rifiutava lo “stile europeo” sempre più prevalente nelle idee calcistiche. “Dobbiamo liberarci dell’idea che per vincere dobbiamo giocare come gli europei. Il concetto errato è stato pensare che non saremmo stati in grado di competere con loro fisicamente”.
Al calcio totale olandese contrapponeva la tecnica individuale, come da tradizione argentina. Una personalità difficile il cui rapporto rimane controverso con la junta del generale Videla, al comando dell’Argentina.
Il suo stile e il suo approccio si sposavano bene con la retorica militare. Chiamava il suo lavoro di ricostruzione della Nazionale “El proceso”, terribilmente affine al Proceso de Reorganización Nacional, il nome con cui la junta definiva la propria dittatura, e il suo stile di gioco “defensa del estilo argentino”; un linguaggio paurosamente simile a quello usato dal governo autarchico in un periodo storico in cui mentre la nazionale argentina vinceva il suo primo Mondiale le madri dei desaparecidos protestavano con un fazzoletto bianco sulla testa in Plaza de Mayo.
“È un discorso miserabile. Un Mondiale non è undici giocatori e un allenatore. Si fa con milioni di persone. Una dittatura è lo stesso. Ci vogliono i dittatori e milioni di complici. In Argentina, oggi vedo ancora in auge molti che nel 1978 stavano con i generali. Non li critico. Ma non mi vengano a dire che ero come loro”.
Menotti non simpatizzatava per la dittatura e molte delle cose che furono dette su di lui sono risultate false; si diceva che in ritiro avesse addirittura una Smith&Wesson. Di Videla disse che non sapeva parlare, “era uno senza qualità“. Eppure Menotti, caduta la dittatura, dovette giustificarsi per essere stato l’allenatore della Selección in quel periodo, e delle foto di circostanza fatte insieme ai gerarchi.
“Oggi non le rifarei. Ma è facile parlare adesso. Nessuno aveva i coglioni di dirlo allora. Fui usato, chiaro. Il potere che sfrutta lo sport è vecchio come l’umanità, i feudatari strumentalizzavano i cavalieri dei tornei. Ricordo Pertini che tornò dalla Spagna con Bearzot: se l’Italia avesse perso, se lo sarebbe portato sull’aereo presidenziale? Però il calcio è solo calcio: l’Italia del ’32 non vinse perché c’era Mussolini, ma perché era forte. Videla era il presidente dell’Argentina, non potevo impedirgli io d’entrare allo stadio. Nessuno immaginava che in quelle ore stava buttando i cadaveri nel fiume. Si fosse saputo, i lavoratori, i contadini, gli intellettuali, i calciatori, tutti avremmo dovuto uscire e chiedere la fine di quella merda. Ma la lotta politica è una cosa più grande del calcio. Se il Milan vince la domenica, qualcuno crede davvero che il lunedì starà meglio? Lo spettacolo non è la vita. E se un Berlusconi va al governo, beh, che almeno faccia per l’Italia un decimo di quel che ha fatto Baresi per il Milan”.
E ben riecheggiano ancora le sue parole nello spogliatoio prima di quella fatidica finale del 1978:
“Non vinciamo per quei figli di puttana. Vinciamo per il nostro popolo”.

Questo, concludiamo noi, è quel che ci può essere dietro un grande allenatore. Non a caso argentino e di sinistra come Julio Velasco.

L’ultima nota la dedichiamo alla ginnastica artistica. Asia D’Amato non parteciperà ai Giochi Olimpici di Parigi 2024, ha una lesione del legamento crociato del ginocchio sinistro, già operato l’anno scorso. E’ stata campionessa europea all around a Monaco di Baviera 2022.
Viene operata di nuovo e anche la gemella Alice ebbe un crociato rotto.

L’Italia ha vinto il medagliere femminile degli Europei 2024, di Rimini, con 5 ori, 2 argenti e un bronzo.
Al maschile, terzo posto, con due ori, tre argenti e tre bronzi. La speranza è che un podio olimpico arrivi.

La prima stesura dell’articolo pubblicato su “Enordest.it”

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