Enordest.it. Bologna sogna e canta. L’Europa è  rossoblu

(rainews.it)

https://www.enordest.it/2024/05/17/bologna-sogna-e-canta-leuropa-e-rossoblu/

di Vanni Zagnoli

Domenica sera siamo stati a Casteldebole, all’uscita dei calciatori del Bologna che festeggiavano la Champions league conquistata con due settimane d’anticipo.

Intanto il videoracconto, con l’attesa dei tifosi, il loro vociare al profilarsi di Zirkzee, il centravanti dinoccolato, di Ferguson, dell’azzurro Orsolini, meritevole del posto da titolare, a destra, agli Europei.

Uno dei meno giovani, fra i presenti, ci racconta i momenti più bui, al seguito della squadra che tremare il mondo un tempo faceva. “C’ero quando il sardo Walter Porcedda uscì con una utilitaria, era un presidente senza soldi. E anche in serie C, nella trasferta nella Bergamasca, con il Leffe, che allora neanche si chiamava Albinoleffe”.

Nel frattempo la festa era già iniziata in piazza Maggiore.

Questi filmati sono di approfondimento, in cui lasciamo scorrere la piazza a lungo, lasciando il telefono nelle mani di sostenitori e anche raccogliendo qualche parere sulla nuova Champions league.

Negli ultimi due c’è stato l’assalto per il contatto con Orsolini, con il portiere Skorupski che aveva perso fra l’altro le chiavi e con Urbanski, una delle riserve valorizzate da Thiago Motta.

Il tecnico brasiliano accetterà sicuramente la Juventus, in bilico c’è solo l’anno di contratto ultimo di Massimiliano Allegri a 9 milioni, ovvero 18 lordi. E’ quasi impossibile che imiti Gasperini, rimasto all’Atalanta perchè più convinto del progetto di Napoli e Roma, che negli anni scorsi lo contattarono. Gasperini fra l’altro ha 66 anni, Thiago Motta 41 e adesso è terzo in classifica.

I meriti sono anche e soprattutto di Giovanni Sartori, re dei direttori sportivi. Come racconta Rivista Contrasti, con il debuttante Pino Caligiuri.

“Alla presentazione – e noi eravamo presenti – ricorda il padre tifoso del Bologna che lo portava, bambino, allo stadio San Siro a vedere il grande Bologna, quello dei Pascutti, Perani e Bulgarelli che nel 1964 vinse il suo ultimo scudetto. Parla di lavoro, tempo, passione, impegno ma anche di entusiasmo e riconoscenza per chi lo ha scelto per raggiungere obiettivi importanti. Anche perchè, mentre a Bergamo si collezionavano qualificazioni in Europa e bilanci in attivo, a Bologna si accumulava un rosso da 112,9 milioni. Per questo Saputo cercava la svolta, e la trova scegliendo l’uomo giusto.

Sartori costruisce a Bologna un’area scouting ben strutturata e continua nel suo lavoro di scoperta e valorizzazione di talenti in giro per il mondo. A parte Zirkzee, nome copertina, prelevato dal Bayern Monaco via Anderlecht per 8.5 milioni – e che ora ha quintuplicato il suo valore – Sartori pesca dalla Scozia Ferguson (Aberdeen), dalla Germania (Hoffenheim) l’austriaco Posch, dalla Russia (Dinamo Mosca) il croato Moro, dalla Svizzera (Basilea e Young Boys) rispettivamente Ndoye ed Aebischer, dal Belgio (Genk) il colombiano Lucumì, dall’Olanda (AZ Alkmaar) Beukema e Karlsson. Quindi rilancia Calafiori e Fabbian, oggi certezze del calcio italiano su cui Roma e Inter avevano deciso di non puntare. Infine, la più importante delle scelte: l’allenatore, Thiago Motta.

«Mi incuriosiva parecchio. Ero rimasto colpito dal calcio che faceva, coraggioso, propositivo. Thiago è un grande lavoratore e un grande comunicatore, molto diretto e deciso con la squadra, arriva subito ai ragazzi. Posso dire che ha migliorato il mio pensiero».

Scrive Furio Zara, padovano che abita a Ferrara sulla Gazzetta dello sport: «Non sentirete mai Sartori accreditarsi nessun merito, non lo ha mai fatto e mai lo farà. L’uomo che ha costruito la squadra-sorpresa della Serie A sta altrove, defilato, lontano dai riflettori. Non è nemmeno vero che lavori nell’ombra come è uso dire nel luogo comune calcistico, perché nell’ombra si trama, si complotta, si architettano strategie oscure. Sartori lavora alla luce del sole, solo che il sole può essere quello di Groningen o Aberdeen, Genk o Berna. Per contorno della figura, Sartori potrebbe tranquillamente essere il dirigente di un club del 1973 o del 1965, quando – a parte i due-tre volti noti – gli uomini che costruivano squadre in provincia non avevano un volto, ma nemmeno un nome sull’organigramma del club nell’almanacco Panini».

Zara è fra gli autori de La Domenica Sportiva, dunque Raisport. Di cui era direttore, alle olimpiadi di Rio de Janeiro, un bolognese, Gabriele Romagnoli, che abbiamo conosciuto proprio al Dall’Ara. E’ ritornato su Repubblica, con la rubrica domenicale ma anche con questo articolo, uscito martedì. Ne riportiamo ampi stralci, sottolineando che a Bologna ha vissuto anche il capo dello sport del quotidiano romano, Francesco Saverio Intorcia.

Nella città che doveva andare più piano di tutte, ai 30 all’ora, la squadra di calcio ha intonato il ritornello del suo tifoso numero uno, Gianni Morandi, ed è andata ai 100 all’ora. Ha superato così campioni uscenti, società della capitale o con il capitale, vecchie signore e giovani dee. Lontana è soltanto Milano, ma dalla collina di San Luca, dietro lo stadio Dall’Ara, qualcuno la vede. E non ci crede.

La verità è che, con la qualificazione in Champions, Bologna non ha realizzato un sogno, ma qualcosa che nessuno aveva osato sognare. Come vincere la lotteria senza aver comprato il biglietto. Quaranta punti in fretta, voleva la società. L’Europa, invocava il pubblico, immaginando quella del pian terreno, dove un tempo abitava la signorina Mitropa: la Conference.

Il presidente venuto dal Canada dieci anni fa, Joey Saputo, aveva un progetto e una pazienza inusuale per il mondo del calcio. Il punto è trovare chi te lo costruisca. Con gli allenatori non era mai stato molto ben consigliato. Donadoni in fase calante (che avrebbe fatto meglio a concedere a Tavecchio per la Nazionale), Pippo Inzaghi in quanto tale, Mihajlovic prima felice poi dolentissimo. Nei travagliati giorni della scelta di sostituirlo (che soltanto col senno di poi quasi tutti hanno capito) venne fuori qualche usato sicuro e un nuovo un po’ spaventoso: Thiago Motta. Definito poi “stranino”, che in canadese significa: dispensatore di una soave intransigenza che flirta con l’arroganza. Uno che con il presidente condivide l’educazione, la misura, poi non condivide il resto con nessuno. Tiene famiglia in Portogallo, lavora e studia tutto il giorno al centro tecnico e risolve problemi. Come? Il Bologna a.m. (avanti Motta) aveva sfiorato il record europeo di partite consecutive prendendo gol (41, il Bordeaux, detentore era a 42). Non c’è impresa senza difesa. Quella dell’attuale campionato (p.m., post Motta) ha incassato 27 reti in 36 partite, media 0,7 (metà esatta della media gol).

Motta ha valorizzato 4 centrali, ma ce ne fosse uno che gioca come faceva. Posch è il primo che ha spostato, a terzino destro. Calafiori viene dalla fascia sinistra e spesso fa il centrocampista aggiunto. A Lucumi cambia spesso posizione rispetto al piede. Beukema fa di tutto. Nello spezzone di campionato scorso aveva reinventato un difensore fin lì inguardabile: Cambiaso. Per inerzia funziona anche nella Juve di Allegri, facendo le cose imparate a Bologna. Come nel football americano ci sono uno schieramento difensivo e uno offensivo, giocatori che schermano gli avversari mai lasciandone libero uno o una linea di passaggio. I ruoli sono eventuali: Ndoye e Saelemakers fanno le ali ambigue, Zirkzee il 9 e mezzo, Aebischer l’equilibratore a tutto campo. I difensori si propongono in avanti, i mediani arretrano (e da quando Motta ha capito Freuler la stagione ha svoltato).

Nelle imprevedibili formazioni, sbuca un portiere che faceva la riserva in serie B (Ravaglia) e para un rigore o uno dato per disperso nello spogliatoio (El Azzouzi) e segna in rovesciata. Certo, ma c’è anche molto altro.Ci sono quelle processioni ex voto lungo i portici di San Luca per dimostrare la vicinanza a Mihajlovic. Quel cielo inspiegabilmente rossoblù dietro la curva (sempre San Luca) dopo una vittoria con l’Atalanta. Lo strano senso di Saputo per la neve, che l’ha infine spinto a lasciare Montreal e passare l’inverno a Bologna e innamorarsene. L’appuntamento mai preso eppure rispettato con la presenza di Giacomino e degli altri, sessant’anni dopo lo spareggio vinto: se avete fiducia, qualcuno poi arriva. Non è l’ottavo scudetto, è solo qualcosa che gli assomiglia.

Le nostre considerazioni finali.

Con 5 squadre italiane in Champions, il traguardo è straordinario ma meno rispetto al passato. Pensiamo a quando in coppa dei Campioni andava soltanto la scudettata, poi la seconda al preliminare (e tante italiane sono uscite), poi 2 più altre 2 che magari uscivano nel preliminare (all’Udinese di Francesco Guidolin è successo due volte, una anche al Chievo), poi 4 e adesso 5 grazie al ranking.

Ecco, il Bologna con Saputo cerca di essere quanto è l’Udinese, da 29 stagioni di fila in serie A e adesso in bilico per la salvezza. O semplicemente l’Atalanta. Eravamo convinti che nell’ultimo quarto di stagione si sarebbe arenato, magari sarebbe arrivato 8°, invece ha retto, nonostante la frenata finale, con 4 pareggi nelle 5 partite che hanno preceduto il colpo a Napoli. E lunedì c’è la sfida alla Juve, per difendere il terzo posto, e poi il viaggio in autobus scoperto per la città.

La prima stesura dell’articolo pubblicato su “Enordest.it”

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