Assocalciatori.it. Il pallone racconta: 30 anni fa la tragedia dell’Heysel. Bonini: “Non si può morire per andare a vedere una partita di calcio”. Favero: “La coppa dei Campioni rappresenta il buio, rispetto agli altri tre”

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Per Assocalciatori.it, il ricordo della tragedia dell’Heysel, con le testimonianze di Bonini e Favero raccolte da me, i racconti di Tardelli e Paolo Rossi all’Ansa.

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Oggi sono 30 anni dalla prima Coppa dei Campioni della Juventus, macchiata da 39 vittime. Stadio Heysel, Bruxelles, all’epoca le formazioni si declinavano a memoria, con la vecchia numerazione dall’1 all’11.
Il Liverpool giocava con Grobbelaar; Neal, Beglin; Lawrenson (sostituito da Gillespie al 30), Hansen, Nicol; Dalglish, Whelan, Rush, Walsh (dal 46’ Johnston) e Wark. Allenatore Fagan.
Per la Juve: Tacconi; Favero, Cabrini; Bonini, Brio, Scirea; Briaschi (dall’86 Prandelli), Tardelli, P. Rossi (dal 90’ Vignola), Platini, Boniek. Allenatore Trapattoni.
Decise Platini su rigore al 56’, ma il fallo su Boniek era decisamente fuori area.

La lunga vigilia della finale di Champions League con il Barcellona amplifica il ricordo di quella tragedia bianconera, già ricordata una settimana fa nel 2-1 con il Napoli. Al minuto 39, lo Stadium aveva smesso i panni della festa e indossato il nero del lutto, con un brivido lungo la schiena dei 40 mila, tutti in piedi in curva sud, con la comparsa della scritta: «Nessuno muore veramente se resta nel cuore di chi resta, per sempre… rispetto, +39».
Nelle mani dei tifosi, su cartelli esposti, i nomi dei 39 tifosi deceduti nella curva Z a Bruxelles, travolti dalla furia degli hooligans inglesi e dalla pessima gestione delle forze dell’ordine.
Era una coppa «maledetta», che la Juve aveva inseguito per 30 anni: era sfuggita nel 1973, con l’1-0 firmato Rep, a Belgrado, contro l’Ajax, e 10 anni dopo ad Atene, con l’Amburgo, partito battuto.

MASSIMO BONINI. Fra tante testimonianze di prestigio, iniziamo da due gregari bianconeri. Massimo Bonini, 56 anni, di San Marino, ha fatto il mediano per una vita, come recita la canzone di Luciano Ligabue.
“Quella partita” – ricorda il biondo ex centrocampista, che abbiamo incontrato a Serravalle – “è stata accompagnata dalla cosa peggiore che poteva capitare, tanto più in una finale. Siamo arrivati in Belgio con la consapevolezza di non poter fallire, la società doveva vincere questa coppa. Accadde quel che non deve mai succedere, perché non si può morire per andare a vedere un incontro di calcio”.
Già la mattina erano successi tafferugli, nel centro di Bruxelles.
“Giocammo in uno stadio che non era adeguato a una finale di coppa. Noi non ci rendemmo conto di quanto accadde perché mentre facevamo riscaldamento negli spogliatoi arrivava di tutto: gente che aveva perso le scarpe, non si capiva bene cosa stesse accadendo”.
C’era chi parlava di un morto.
“Altri addirittura di un centinaio. Non ci siamo resi conto di cosa era accaduto. Solo a fine partita abbiamo saputo, in albergo, vedendo i filmati, in tv”.
Bonini commise un fallo da rigore, non ravvisato dall’arbitro Daina.
“L’irlandese Whelan si allungò la palla, io entrai in scivolata, presi la gamba, anziché il pallone, ci poteva stare il rigore. Il nostro, invece, dal campo sembrava nettissimo. Recuperammo una palla, Platini lanciò in contropiede Boniek, rivisto in tv era fuori area”.

LUCIANO FAVERO. L’ex terzino destro quasi si commuove, ripensando a quella gara. “Dal campo non sapevamo niente, non ci avevano informato. La partita con il Liverpool si dovette disputare comunque, anche per questioni di ordine pubblico. Quel trofeo peraltro rappresenta il buio, rispetto agli altri tre che ho messo in bacheca, compresa la Coppa Intercontinentale”.

MARCO TARDELLI. L’ex centrocampista azzurro è ospite fisso alla Domenica Sportiva e talvolta ancora a radio Rai. “Quella notte” – racconta all’agenzia di stampa Ansa – “un gruppo di selvaggi mise in croce decine di poveri cristi, per questo non ho mai voluto sentir parlare di quella coppa: io la vivo come se avessimo perso, e d’altra parte fu una sconfitta per tutti. Il dolore e la tristezza restano fortissimi, come su tutto fosse avvenuto ieri”.
Tardelli insiste. “Quella Coppa dei Campioni non l’ha vinta nessuno, piuttosto in Belgio è stata vissuta una delle peggiori pagine della storia del calcio. Eravamo lì, come potevamo non entrarci in quella brutta storia? Sapevamo che c’era stato un morto, siamo anche usciti a parlare con i tifosi, avevamo visto qualcosa. Anche se quello che è accaduto realmente, con le vere dimensioni della tragedia, io l’ho saputo il giorno dopo, in Messico, dov’ero volato con la Nazionale”.
Tardelli vide dall’altra parte del mondo le immagini della tragedia. “Quando la tv messicana ha mostrato quei corpi per terra, mi sono sentito male di nuovo: sembravano morti di guerra. Certamente avevo pensato che sarebbe stato meglio non giocare, ma quella decisione non dipendeva da noi, questa è la semplice verità”.
Nella memoria gli sono rimasti impressi molti flash. “Soprattutto la faccia terrorizzata di un padre con un bambino sotto choc in braccio, entrambi erano riusciti a scappare alla furia degli hooligans e ad approdare chissà come negli spogliatoi. Non dimenticherò mai quei volti. Avevo i tifosi arrivare allo stadio, avevano visi dolci e felici, che porto tutti dentro di me”. Anche i giocatori del Liverpool erano sconvolti. “Grobbelaar, il portiere sudafricano, venne sul nostro pullman a chiedere scusa, alla fine della partita. Ma dopo era tutto inutile, quella tragedia bisognava prevenirla, furono le autorità belghe a commettere un errore enorme: non avevano capito il problema, le strutture dello stadio non erano adeguate, non si potevano mettere nella stessa curva i tifosi italiani e gli hooligans, che in quel periodo erano famigerati per la loro bestialità. Ora restano solo le lacrime”.

PAOLO ROSSI. Anche Pablito ha ripercorso con l’Ansa quella notte. “Dentro di noi” – sostiene l’opinionista di Sky, per la Champion League – “sapevamo che qualcosa di grave era successo ma prima della partita nessuno ci diede informazioni precise. Ci dissero solo “andate in campo e giocate”. Dopo abbiamo saputo che in 39 erano morti. E vidi poi quei corpi in fila, fuori dallo stadio coperti dai teli. È bene che se ne parli, perché quella sera ha fatto da spartiacque, ha aperto gli occhi a tutti. Anche se non ci sarebbero dovuti volere 39 morti (32 italiani) per capire che certi stadi non erano adeguati”.
Rossi rivive gli attimi precedenti la finale. “Ci fecero rimanere chiusi negli spogliatoi, sino all’ultimo momento. Nessuno ci disse cosa era veramente accaduto, perché altrimenti avremmo potuto dire la nostra, fare qualcosa. La partita si giocò in un clima surreale: con un occhio al settore Z, vuoto, dello stadio. Anche l’esultanza dopo il gol e il festeggiare la coppa furono legate al fatto di non sapere con precisione quanto era successo”.
Dei 39 morti i bianconeri furono informati nel dopo partita, sull’autobus. “Non si può morire in maniera così banale, per una partita di calcio… è un’assurdità. Ormai gli impianti sono adeguati e questo è fondamentale. Mi sembra però assurdo che servano ogni volta 3 mila agenti per garantire la sicurezza di chi assiste alle gare. Evidentemente, non siamo ancora figli di una cultura sportiva così forte…”

LA COMMEMORAZIONE DI OGGI. Stasera l’intera squadra della Juventus, lo staff tecnico e la dirigenza parteciperanno alla messa in ricordo delle vittime, alla chiesa della Gran Madre di Dio, a Torino. La funzione religiosa sarà celebrata alle 19,30, prima della partenza per Verona.

Vanni Zagnoli

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