A Sarajevo si combatte per le strade. I violenti bombardamenti di artiglieria pesante non hanno neppure risparmiato l’ospedale. Il reparto maternità è completamente avvolto dalle fiamme. Gli scontri tra la milizia serba e le forze bosniache fedeli al presidente stanno trascinando la popolazione alla carestia mentre l’Europa assiste distratta e gira la testa. Dal treno che attraversa la parte bassa della Provenza ogni tanto si scorge il mare, lo stesso che bagna Amalfi, Algeri e la Dalmazia. Ma lì in Costa Azzurra ha un altro colore, brilla e fa quasi dimenticare a Nitti la ragione della sua trasferta mentre rilegge svogliato pochi appunti sdraiato in una carrozza completamente deserta. Il caporedattore lo ha spedito sulle tracce di una certa Jeanne Calment, classe 1875, una sorta di mummia vivente certificata come l’essere umano più vecchio al mondo. Lui, solo un pubblicista iscritto all’Ordine, non ha in mente una grande strategia e neppure un’idea su cosa chiederle quando, senza voglia, se la sarebbe trovata davanti. Su un lettino o su una carrozzella, mi congratulo con lei, pensa, ma è un’età alla quale proprio non vorrei arrivare.
Il viaggio al momento sembra piacevole, lontano da quel faccione stinto di quel cammello del caporedattore e libero di sdraiarsi con le gambe allungate e i piedi sui cuscini della carrozza. Ventimiglia, MonteCarlo, Nizza, Cannes…e quella forse è Saint Topez…la spiaggia di Saint Tropez. Certo che dover proseguire per Arles per andare a casa della vecchia è tutta un’altra faccenda.
Fammi vedere cosa ci tiri fuori, se le hai! Gli ha detto il capo. E lui che effettivamente non ha mai capito perché si accostasse la capacità di un individuo a certe cose, ha ritirato in segreteria l’andata e ritorno assieme a un foglio scritto a mano con gli orari e pochi appunti, così si è messo a scrivere qualcosa. Ha immaginato una scaletta semplice, prima le congratulazioni d’obbligo alla vecchia, poi avrebbe acconsentito a prendere un the con lei, quindi due o tre domande e poi via, rapido.
Quando arriva alla stazione di Arles è fresco e quasi soddisfatto, la cosa migliore è andare subito dalla vecchia, intervistarla, si fa per dire, quindi chiamare un taxi e chiedere al conducente come passare una piacevole serata da quelle parti. Un blitz veloce dalla vecchia è la prima cosa da fare e anche la più imbarazzante, treno alle 23, c’è tempo. L’indirizzo il tassista lo conosce benissimo, fa: Jeanne è famosa, tutti sanno dove abita ma non credo che la riceva, non accetta visite da anni.
Nitti si fa subito prendere, tira fuori la moleskine: Lei la conosce? Ma ci vede ancora? E parla…mi dica, parla? Il tassista fa: Eccoci arrivati, adesso avrà tutte le risposte che vuole, Jeanne abita lì, Cafe de la Garè, quella casa gialla, adesso è tutta sua e fra un po’ verrà abbattuta. E riparte.
Nitti non è rimasto molto in attesa prima di sentir scattare la serratura dell’entrata. Bussa, poi s’infila. Una stanza piccolina ma graziosa, un fascio di luce la illumina quanto basta per vederla tutta e bene. Fa: C’è qualcuno? Poi si pente, se gli hanno aperto è abbastanza certo che ci sia qualcuno. Nessuna risposta, forse al piano superiore. Fa un paio di gradini della scala in legno e chiede nuovamente: C’è qualcuno? Ormai l’ha detto.
È lei Marco Nitti dell’Indiscreto?
Certo risponde, girandosi di scatto. Sono qui per intervistare la…la signora Jeanne Calment.
Sieda la prego, fa quella bella figliola che gli si presenta davanti.
Nitti rimane un po’ lì sulle sue prima di realizzare qualcosa e sedersi sulla poltrona. La bella figliola non si lascia affatto imboccare. Certa che l’attenzione del giornalista sia diretta soprattutto a ricevere informazioni sulla vita del grande Vincent comincia a parlare di lui come se stesse aprendo un diario. Era così bella e giovane che non se la sentiva di interromperla, e parlava, parlava, parlava, senza dare tregua: Scommetto che vuole sapere tutto di Pere Tanguy e del postino Roulin. Bene, se ha pazienza le dirò tutto. E senza tralasciare nulla…che anni quegli anni, Vincent amava la vita e la vita amava lui. Ma ognuno a suo modo. Per lui la notte era più colorata e più viva del giorno, lavorava molto di notte.
Nitti è lì e non ha voglia di fare niente. Un uomo delizioso, continua la bella figliola, sapeva quel che faceva, sempre. Sa che l’Arlesiana, che poi altri non era che quella fanatica di Madame Ginour, l’ha sciabolata giù in meno di un’ora? E quel Paul ne fu testimone perché a quei tempi Vincent viveva con lui. Niente di male, si capisce, lui amava me. Io lo ispiravo. Certo. Quando a notte inoltrata lui voleva continuare a lavorare ma gli mancavano le forze, beh…allora bastava uno sguardo. Io capivo che dovevo uscire e girare per Arles sola, come una sbandata. All’improvviso da dietro un carro o all’angolo della strada, sbucava un essere immondo e puzzolente, ossuto, con gli occhi sporgenti e con delle scarpacce tremende. Prima mi afferrava, poi con un coltello in pugno mi obbligava a fare tutto quello che comandava. E mi picchiava, anche cazzotti. E alla fine se ne andava lasciandomi a terra, dov’ero, ero. Quando rientravo a casa, Vincent era al suo posto e aveva ripreso a dipingere, io non gli permettevo di distrarsi neppure un attimo e mi medicavo da sola. Tanto lui sapeva cosa mi era successo.
La bella figliola si alza e torna subito con due fumanti tazzine di the su un vassoio colorato con dei girasoli che sembrava esplodessero. Perché mi guarda così? Mi ha riconosciuta? Sì, sono io, sono la Mousmè. È facile riconoscermi non è vero? Avevo 14 anni. Vincent a quei tempi mi adorava. Eravamo così giovani.
Signorina…non capisco se scherza, anzi non capisco proprio niente. Prima Roulin, poi quel Paul, la Mousmè e questo Vincent, ma chi sono?
Lei non sa chi è Vincent Van Gogh?
Vincent Van Gogh?
Il maestro, l’arte, questo è Vincent Van Gogh. E nessuno si è mai avvicinato al suo talento, una faccenda pura. Nessuno. Ah! Quanti ci hanno provato, che riposino in pace.
Ma signorina…Vincent Van Gogh non è…morto da circa…
Sono cent’anni oggi, per la precisione, mio caro amico.
Signorina io dovrei andare…cioè dovrei vedere la signora Jeanne Calment…cioè dovrei intervistarla…
Cioè, cioè, cioè…ma lei non mi sembra molto sveglio. Lo sa che erano…non so neppure io quanti anni che non ricevo visite. Lo sa che avevo deciso che basta, non avrei rivisto nessuno degli amici e altro ancora. Poi arriva la richiesta del suo giornale e mi dico ecco qualcuno che si ricorda di Vincent nel giorno del centenario della sua decisione di lasciare la terra. E questa è una gran bella cosa. E questa è della gran brava gente, nulla importa se viene dall’Italia. A loro do retta. Ora non mi deluda, caro, non mi faccia pentire.
Nitti lascia che i suoi occhi si guardino.
Se Vincent adesso fosse qui lei capirebbe senza far troppe domande, continua lei. Era un uomo talmente garbato. Se per esempio squillava il telefono mentre lui si stava radendo, prima di riattaccare il ricevitore si preoccupava di ripulirlo da tutta la schiuma da barba che rimaneva appiccicata. Oppure se gli capitava di far cadere la cenere sul pavimento, aveva almeno l’accortezza di sparpagliarla affinché non si notasse. Magari soffiando o muovendoci sopra il piede, leggero, leggero.
Il telefono?
Sì, non c’era. Ma se ci fosse stato, lui avrebbe fatto così. Io lo posso dire.
Signorina, se lei ha conosciuto Vincent Van Gogh, ho ragione di credere…
Non ci giri troppo attorno. Ha capito benissimo. Sono io Jeanne Calment.
E ha 117 anni?
È possibile se sono qui davanti a lei, e lei mi sente e mi vede. Ma prima che se ne vada le voglio rivelare un segreto. Tanto so che non andrà a dirlo in giro.
Una manciata di farfalle dalla finestra, tutte un colore.
Bene, caro, la vede quella porta?
Sì, quella porta la vedo.
Bene. Dietro a quella porta c’è una stanza. È così come Vincent l’ha lasciata. Dentro ci sono tutti i suoi originali. Tutti. Mi viene da ridere quando sento che quel quadro o quell’altro sarebbero presso la collezione di Mr e Mrs Edward G. Robinson a Beverly Hills in California, o al Wallraf Richartz Museum di Colonia. Gli originali sono tutti qui. Vincent li ha lasciati tutti a me. Non vorrei che si facesse largo in lei l’idea che io fossi la gallinella stupidina che Vincent usava e poi riponeva nel pollaio. Non è proprio così. Ma ora basta. Le rimane poco tempo per fare quello che deve fare.
Fare cosa?
Ammazzarmi, strangolarmi o cos’altro! La dentro c’è una fortuna e lei sarebbe uno sciocco se non ne volesse approfittare. Ci sono almeno duecento originali di Vincent Van Gogh la dentro. La più grande fortuna del mondo.
Farfalle, tante farfalle che girano. Lui sta cercando di capire dove deve aver lasciato la forza di alzarsi da quella poltrona e finire nuovamente su quella carrozza che attraversa la Provenza.
Si gira e quella bella figliola non c’è più.
Adesso è tutto come prima, solo che il mare è alla sua destra, calmo, grande come un oceano con una luce abbagliante. Tra non molto avrebbe probabilmente rivisto quel faccione stinto di quel cammello del suo capo. Lui, solo un Pubblicista iscritto all’Ordine, non aveva in mente una grande strategia e neppure un’idea su cosa dirgli quando, senza voglia, se lo sarebbe trovato davanti.
A Belgrado in 50mila sono scesi in piazza per manifestare contro gli orrori della guerra. Colpi di mortaio dalle vicine colline stressano Sarajevo. La gloriosa nazionale jugoslava è stata espulsa dagli europei di calcio in Svezia e rispedita nel caos.”