La religione del basket. La festa, i cori, l’esaltazione, così si dimentica la quotidianità. La partita è sullo sfondo, in primo c’è la voglia di aggregazione inebriante

Silvia con il bouquet

Chiudo gli occhi e penso alle rare volte in cui sono stato a Bologna per il basket. PalaDozza, PalaMalaguti. Da pelle d’oca. Le immagini, i cori, lo sciamare della gente.

E poi “Totalmente dipendente”, il coro che fa impazzire Reggio, al PalaBigi e al Mapei stadium. Si vive di basket, anche di basket, di esaltazione. “Di maschere notturne, di canto. Discanto”. E qui vi piazzo Ivano Fossati.

Il basket, come altri sport vari, è religione. Come il volley, come tanto altro. Meno il calcio. Il calcio è più esaltazione negativa, fanatismo, follia.

La religione del basket è festa colorata e cori, l’esaltazione ma con iudicio, così si dimentica la quotidianità.

La partita è sullo sfondo, in primo piano c’è la voglia di aggregazione inebriante. Di emozionarsi, di stare bene con tifosi amici o avversari, di vivere uno spettacolo coinvolgente.

E io ho il privilegio di raccontarlo, di non pagare, magari di essere ascoltato. Magari anche sopportato. Ma è un privilegio non da poco.

Saluti da Rho, Pero. Dall’Expo.

Ho sposato Silvia ma pure lo sport. Tutto. A parte i motori, il doping e i farabutti che rovinano lo stacco agli appassionati.

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