Aic. Il pallone racconta: i 60 anni di Bruno Conti Raccontati dal figlio Andrea, centrocampista e allenatore del Mancatone, seconda Lega Regionale in Svizzera.

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I 60 anni di Bruno Conti raccontati dal figlio Andrea, centrocampista e allenatore nel Mancantone, seconda lega regionale in Svizzera. “Vorrebbe cancellare solo il rigore sbagliato nella finale con il Liverpool – racconta il fratello maggiore di Daniele, capitano del Cagliari -. Da campione del mondo nel 1982, avrebbe voluto vincere anche la finale di coppa dei Campioni, tantopiù all’Olimpico. Con le sue giocate da Marazico aveva colpito anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini”.

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Bruno Conti

 

Ieri Bruno Conti, campione del mondo nell’82, ha compiuto 60 anni. Il sito dell’assocalciatori lo celebra in maniera particolare, facendolo raccontare dal figlio meno famoso. E’ Andrea, 37 anni, fratello maggiore di Daniele, che qui parla in maniera intima anche del capitano del Cagliari.

Andrea Conti è calciatore e allenatore in Svizzera, nel Malcantone, seconda lega regionale elvetica, dopo essere stato a lungo centrocampista nel Bellinzona. E’ come fosse in Eccellenza italiana, anche se il paragone è complicato. Andrea è il primogenito del mitico Bruno e in Italia non era mai andato oltre la Lega Pro, girando 9 squadre in un decennio: Carpi, Fano (con il primo gol), Nocerina, Lecco, Castel di Sangro; trovò maggiore spazio a Brescello, mentre a Lanciano si fermò per due stagioni. Poi Ancona, di nuovo in Abruzzo, quindi la decisione di emigrare.

“Sono nel canton Ticino dal 2007 – racconta -, dapprima ero a Bellinzona, a 70 chilometri da Milano, ora ad Agno, vicino a Lugano. A Bellinzona sono quasi tutti italiani e frontalieri: in maggioranza arrivano dal Sud, a cercare lavoro, rispetto al Belpaese è tutta un’altra vita”.

Al punto che lei stesso ha aperto un ristorante, a Lugano.

“Si chiama Santabbondio, talvolta vado anch’io, ci lavorano mia moglie Alessia e mio cognato”.

Lei in che ruolo gioca?

“Anni fa ero esterno, progressivamente arretro il raggio d’azione”.

E’ sceso in Italia, per il compleanno di papà?

“No, proprio perchè sono impegnato con la squadra. Gli ho telefonato a mezzanotte e un minuto, credo di essere stato il primo a fargli gli auguri”.

Bruno come ha festeggiato, a Nettuno?

“In sordina, proprio perchè mancavano noi”.

Davvero fu vicino al trasferimento in America, per essere professonista del baseball?

“Da ragazzo amava il batti e corri, c’è grande tradizione a Nettuno. Era nella Primavera della Roma, ebbe un’offerta dagli Stati Uniti”.

L’Italia avrebbe perso un campione del mondo, fra i calciatori più amati della storia.

“Già. Ma nonno Andrea, scomparso 27 anni fa, non aveva però molte possibilità economiche, questo incise nella rinuncia a volare negli Usa”.

Erano tanti, in famiglia?

“Tre fratelli e 4 sorelle, Bruno è il terzo, per anzianità. Mio zio Alberto è stato allenatore giovanile di baseball, sempre a Nettuno, nel club 4 volte campione d’Europa. Da bambino impugnavo anch’io la mazza, con mio fratello Daniele, solo per divertimento”.

Avete mai giocato assieme?

“Nel settore giovanile della Roma. Debuttai in A proprio a Cagliari, nell’aprile del ’97, perdemmo 2-1, gol di Sandro Tovalieri, pareggio di Amedeo Carboni e rete dell’uruguagio Darìo Silva. Al Sant’Elia sono tornato solo 3 volte, a vedere Daniele, il Cagliari però è diventata la mia seconda squadra”.

Bruno vive sempre con la moglie Laura, 57 anni. Quale ricordo più bello ha, della carriera?

“Facile, il mondiale dell’82. Il gol al Perù, nell’1-1 della seconda partita, e poi l’indimenticabile 3-1 in finale con la Germania”.

Allora era in lacrime, salendo in tribuna, per la premiazione.

“Si commuove facilmente, è un emotivo”.

Ha un difetto?

“Troppi tic. Quando è nervoso si tocca i capelli, gesticola. E fuma eccessivamente, soprattutto a vedere le partite dei ragazzi giallorossi”.

E’ responsabile dell’area tecnica e del settore giovanile. Perchè allenò la Roma solo per due mesi e mezzo, da metà marzo 2005?

“Non era la sua strada, è un mestiere troppo stressante. Subentrò a Luigi Delneri, portando la squadra in finale di coppa Italia, garantendole l’accesso in Europa. E’ felice nel suo ufficio in sede, gestisce le rose dei ragazzi”.

Escluse due parentesi al Genoa, è alla Roma da 42 anni. A chi è rimasto più affezionato?

“Fra gli ex compagni, a Carlo Ancelotti, erano in camera assieme. Da bambino ricordo l’attuale allenatore del Real Madrid ogni tanto a casa nostra, magari per una mangiata di pesce, con Falcao e Roberto Pruzzo. Come dirigente ha tirato su Daniele De Rossi e Alberto Aquilani, facendoli approdare in nazionale”.

Perchè lo chiamavano Marazico?

“Si guadagnò sul campo quell’appellativo. Era metà Maradona e metà Zico, aveva finte da brasiliano, più che da argentino o italiano. Ricorda volentieri il primo gol in serie A, nel ‘77, proprio nel derby con la Lazio, e gli assist al mundial spagnolo”.

Alla famosa partita a carte con Sandro Pertini parteciparono il ct Enzo Bearzot, il capitano Dino Zoff e Franco Causio, ma il presidente della Repubblica aveva un rapporto particolare, con papà.

“L’aveva colpito per le sue giocate, alla gente sono rimaste impresse”.

Alla voce nemici chi mettiamo?

“Nessuno. Certo adesso il calcio è cambiato, alla sua epoca era più tecnico, ora è molto business”.

L’unico rammarico della carriera è quel rigore calciato alto, al pari di Francesco Graziani, in coppa dei Campioni, contro il Liverpool?

“Aveva vinto lo scudetto, nell’84 la finale all’Olimpico avrebbe coronato un sogno”.

Suo fratello Daniele è a Cagliari da 16 anni, attaccatissimo alla maglia rossoblù. Come vive il confronto con il padre?

“Non lo soffre. Ogni figlio d’arte è destinato ai paragoni, deve dimostrarsi all’altezza del genitore”.

Ha 36 anni e dal 2003 è uno dei leader della squadra isolana. Non gli è mai venuta voglia di smettere?

“No. I Conti sono nati per il calcio, con il pallone in mezzo ai piedi, è davvero il lavoro più bello del mondo. L’unico periodo negativo fu all’inizio della sua avventura, finì fuori rosa, ma poi rientrò”.

Gli accadde pure nel 2010, con Pierpaolo Bisoli in panchina: venne escluso per 4 giorni, assieme al vicecapitano Agostini, adesso al Verona.

“A fine carriera penso rimarrà in società”.

Da questa stagione non ha più da rapportarsi con le bizzarrie di Massimo Cellino…

“Per la salvezza, era un presidente efficace: andava ringraziato per quanto ha fatto per mantenere la serie A in Sardegna”.

Suo fratello che idolo ha?

“Falcao, per questo indossa il numero 5. Entrambi sono registi, Daniele naturalmente ha meno classe”.

Qual è il bello dell’isola?

“Il clima, il mare e la gente”.

E dopo Gigi Riva, c’è Conti nel loro cuore?

“Ha stabilito il record di presenze in maglia rossoblù, è lanciato verso i 400 gettoni. E’ orgoglioso di essere un simbolo”.

Gli resta il rammarico di non essere mai arrivato in nazionale.

“Almeno una presenza, magari in amichevole, l’avrebbe meritata: tanti debuttarono pur avendo dimostrato di meno. Cinque anni fa aveva realizzato alcuni gol in sequenza, sembrava il momento giusto per quel premio”.

Tanti calciatori sono pure imprenditori, Daniele come impiega il tempo libero?

“Pensa molto al calcio, per il resto è divano e famiglia, segue il tennis in tv”.

Valeria, 35 anni, gli ha regalato 3 figli.

“Bruno ha 13 anni, è nelle giovanili del Cagliari, è una fotocopia del nonno, al di là del nome: è mancino e ha stessa zazzera. Manuel ne ha 8, è più tranquillo ma al tempo stesso lo vedrei come un mediano da battaglia. Da 4 anni c’è pure la bimba, Melody”. Ogni tanto vi ritrovate nella casa di Bruno, a Nettuno?

“Amiamo stare lontano dal caos, siamo a due chilometri dal mare; in stagione si corre tanto, d’estate cerchiamo il riposo completo”.

Daniele sino a quando giocherà?

“Ha il contratto sino al giugno, poi dovrà decidere se continuare”.

L’ha mai visto piangere?

“Ci vediamo pochissimo e quelle volte è per sorridere. Cagliari è la sua casa, la Roma peraltro è tutto, per noi”.

Lei invece ha una famiglia all’insegna della A.

“Alessia, 36 anni, è mia moglie, abbiamo due figlie: Aurora, 12, e Anastasia, 9. Avevamo cominciato praticando la ginnastica artistica, ora rispettivamente fanno danza e pallavolo”.

Per i Conti cos’è la vittoria?

“Avere una famiglia unita, è il successo più bello. Nell’89 andammo in vacanza tutti assieme, a New York, contiamo di riproporla, magari quando avremo smesso di giocare”.

Papà ebbe offerte per lasciare Roma?

“Dal Napoli. Ai tempi di Maradona fu davvero vicino al trasferimento, preferì restare nella sua squadra del cuore, anche per riconoscenza verso il presidente Dino Viola e mister Nils Liedholm, punti di riferimento scomparsi anni fa”.

“L’ultima partita. Vittoria e sconfitta di Agostino Di Bartolomei” è il libro pubblicato da Luca, figlio dell’ex capitano giallorosso.

“Lo incontrai al campo di Trigoria, all’epoca, assieme ad altri figli di calciatori. Papà visse male la tragedia di Ago, del ‘94: era un amico e il capitano della sua Roma, una grande persona”.

Tanti campioni, a partire da Roberto Pruzzo, confessano di avere sofferto di depressione, Bruno l’ha conosciuta?

“E’ un tipo positivo, alle difficoltà ha sempre reagito. Nel tempo libero si prende cura del giardino, a casa”.

Daniele De Rossi era tra i centrocampisti più forti al mondo.

Non era andato al Manchester City anche per imitare Conti?

“E’ un’altra scelta di cuore. La Roma è la Roma, anche per i tifosi. E’ un emblema giallorosso, apprezzato pure da mio fratello, tantopiù nel suo ruolo”.

Nell’estate del 2011, la famiglia Sensi lasciò agli americani: Gian Paolo Montali venne congedato, papà è mai stato in discussione?

“Nella capitale la gente sa chi tiene veramente alla società e ne fa gli interessi. Con lui si è in buone mani”.

Vanni Zagnoli

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