Come si arriva a fare gli opinionisti tv, il percorso virtuoso dal quotidiano locale alla ribalta nazionale; i monumenti; l’acquisto dello spazio tv

Mio cugino Guido Maletti, ex ceramista orgoglioso, di Scandiano, un decennio fa mi chiese come si fa a diventare opinionista televisivo. Iniziava a vedermi su E’ Tv Antenna 1 Modena da Stefano Ferrari. Guido è un appassionato di calcio da divano, seguiva Gianni Gibellini, l’imprenditore funebre polemista, ora su Teleargento con Paolo Maini.

Ecco, mi capita ancora di essere contattato per portare gente in tv. Mesi fa un 22enne osservatore per una squadra di calcio di serie B, in Emilia Romagna, me l’ha chiesto su facebook. Volevo conoscerlo, valutarlo, studia fra l’altro giornalismo e allora gli avrei offerto le chiavi del mio sito, non aveva tempo neanche per scrivere un articolo. Strano.

Motivazioni al massimo per la ribalta tv, nulle anche solo per raccontare chi sei, come lavori, cosa fai, quanto guadagni e chi ti ha permesso di iniziare così presto un mestiere comunque ambito.

Di recente mi sono sentito con un’ex valletta conosciuta in un programma in regione, sino a 3 anni fa. L’ho segnalata a due tv nazionali, le chiedevo di collaborare al sito, anche episodicamente, c’eravamo vicini, non ci siamo ancora, penso mi rilascerà un’intervista ma non oltre. Ancora, le chiedo un rimborso spese, diciamo così, un contributo minimo per occuparmi del suo ufficio stampa e relazioni esterne, nulla, pazienza, amen.

A chi inizia la professione dico. Serve pazienza, ambizione non eccessiva, umiltà.

Ho iniziato nel 90 a Carlino Reggio, ho dato l’anima per 40 mesi, ci siamo lasciati. Nel ’91, direi, a Telereggio, nel ’94 ci siamo lasciati.

Nel 93 a Il Tempo, nel 2009 il budget è stato accorciato e allora c’è stato l’addio. L’elenco degli addii è lungo, ora molte collaborazioni sono offerte senza alcun compenso, a nessuno, a prescindere.

Dunque, a parte il discorso giornalistico, la scelta di non andare oltre l’iscrizione a scienze politiche a Bologna, all’università, aveva portato a provare vari lavori. Feci il trimestrale come postino, una dozzina di giorni in cantina sociale (ai tempi della vendemmia, a Cadelbosco Sotto), ogni tanto facchinaggio, altro che non ricordo.

Silvia prima di raggiungere il Medical center aveva iniziato con la Sip, poi la Mtn, il consorzio di bonifica Parmigiana Moglia Secchia, altro che di sicuro non ricordo.

Tutto questo per confermare quanto sia importante la crescita professionale, un percorso senza sconti, in ogni ambito.

Diceva bene Mattia Mariani, oggi direttore di Telereggio, un anno fa, a Reggio mattina, condotto da Stefania Bondavalli. “I giovani non hanno più voglia di sacrificarsi”.

Purtroppo è vero. Si guarda la tv, il telefonino, il navigatore, il cordless. Si chiacchiera tanto è gratis, si discute del nulla. Esemplari molti dialoghi raccolti – andrebbero registrati – la notte da Il Fornaio, di Ives e Rossana Corbelli. Una ragazza occhialuta e occhieggiante discetteva il nome di un’amica. “Lei sarà sempre Filomena Russo”. Non era proprio quello il nome e cognome, era per dire che è meridionale che più meridionale non si può e quel nome e cognome la penalizzerà sempre. Sarà etichettata, non potrà mai essere una primattrice del quartiere. Chessò, immaginate se si chiamasse Regina Arianna, dalla mail scelta da un’amica…

Oggi qualsiasi ragazza bella punta a lavorare in tv, come soubrette, in subordine va a miss Italia. Poi prova come modella, se va male indossatrice interna. Ma lì ce la ripartenza, giornalista sportiva. Tv, naturalmente. Obiettivo Sky. Sennò a scendere. A salire, attrice. Non importa di cosa, attrice e basta.

Capitolo uomini. Calciatori a tutta. Perchè hanno soldi e danno visibilità, alimentano la coppia dei sogni. Calciatrice e velina, l’uno è propellente pubblico dell’altra. Ma si accettano altri sportivi, o magari imprenditori danarosi, tramiti per essere assunte e valorizzate in azienda. Pagate per il semplice sorriso, la capacità di intrattenere, di arrecare pensieri positivi.

E poi magari si cambia. Uomo, mestiere. Si fa l’agente Fifa, una volta presa la laurea in legge. E poi magari si cambia partner, quando magari chi è nel mondo del calcio ti può inserire meglio.

Diffido dei cambiamenti, di chi si inventa un mestiere a 35-40 anni.

Sono pochi i giornalisti che cambiano completamente attività o che ritornano. O quanti a 35-40 anni virano per altro. Quelli che oggi ci sono io, ieri non so chi ci fosse, domani vediamo.

Diffido di quanti vorrebbero abolire l’ordine dei giornalisti, di chi esce dalla scuola di giornalismo e raggiunte la sedia da opinionista.

A questi suggerisco di partire come ho fatto io dalla 3^ categoria del calcio, tabellini, era il settembre 1990. Poi la 2^, la 1^, il debutto in tribuna stampa con la Reggiana, ma l’obbligo di andare il più possibile sui campi dilettantistici, di Promozione e Prima.  Ci sta pure il debutto sulla tv locale ma come premio, con calma, sempre. Un percorso virtuoso, paziente, di precario. Nel mio caso a vita.

Poi ci sono i monumenti, colleghi che non vanno mai in pensione e ancora hanno la loro trasmissione. Per ultimi quelli che si acquistano lo spazio in tv. Non è il massimo. Viene concesso più volentieri ai non giornalisti. Basta avere gli sponsor giusti, anzi ci si guadagna pure. E la gente comune non lo so. C’è chi fa primi opinionisti i primi inserzionisti. Auguri a tutti, comunque. Come diceva Weah al Milan? Belli e brutti…

Giusto per evitare equivoci, Gianni Gibellini non paga per andare in tv, al massimo segnala qualche sponsor. Gianni fra l’altro ha cose da dire, non tutti le hanno.

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