Il Gazzettino, i 60 anni di Piero Fanna: “Famiglia e amici, non lavoro più”

Piero Fanna (bergamopost.it)

Un mese fa, Pierino Fanna ha compiuto 60 anni, un compleanno dimenticato, dai media, perchè l’ex ala destra di Moimacco (Udine) non è più personaggio. E’ volutamente fuori dal calcio e da 15 anni si gode la vita. «Famiglia e amici, non lavoro più».
L’avevamo incontrato a Budrione, frazione di Correggio, nel Reggiano, a una partita in parrocchia, con ex del Verona.
Piero, complimenti per la forma fisica, straordinaria…
«Ci si difende dall’usura».
Quante presenze in nazionale?
«Quattordici, ma in precedenza c’era stata tutta la trafila: juniores, under 21, olimpica».
Nessuna grande manifestazione, eppure l’avrebbe meritata. Avvicinò il mondiale dell’86?
«Peccato essere andato all’Inter, dal Verona. Fu un’annata negativa, sennò sarei andato in Messico, toccò invece agli ex compagni Di Gennaro e Galderisi, da titolari, mentre in panchina c’era Tricella».
Ma persino a 20 anni accarezzò Argentina 1978?
«Allora andarono in 10 della Juve, addirittura. Mancai giusto io e per poco. In quelle stagioni quando non eri titolare faticavi a trovare spazio stabilmente anche in azzurro. Riconquistai il ct Enzo Bearzot a Verona».
E poi pagò l’esplosione di Donadoni, a destra.
«Esattamente. Mentre all’inizio mi penalizzarono le scelte di Trapattoni, che mi spostò persino a sinistra, preferendomi Domenico Marocchino».
Era il re del cross: accelerazione, frenata e pallone in mezzo, anche bei gol; (pochi) capelli lunghi e viso da buono. «Lo sono ancora».
Il primo tesseramento fu nel Moimacco?
«Ovviamente. E fra i quasi 2mila abitanti ho ancora la famiglia: mamma Marta e le mie 3 sorelle: Donatella é la maggiore (poi vengo io), quindi Rita e Cinzia».
E’ sposato?
«Da 38 anni, con Laura, 58enne. Abbiamo due figli: Cristina, 35 anni, vive a Roma, e due anni fa mi ha reso nonno, di Tommaso; Marco, 32 anni è figlio dello scudetto, è nato e vive a Verona».
Da ragazzino aveva bruciato le tappe…
«A 13 anni passai nell’Udinese, l’estate successiva all’Atalanta, nel 1972, nel settore giovanile. A 17 debuttai in B nell’Atalanta, a 19 in A nella Juve, appunto sfiorando la convocazione al primo mondiale di Bearzot come ct».
Indossò anche la maglia numero 11 e all’epoca non c’erano le numerazioni fisse…
«Con Giovanni Trapattoni, non giocai praticamente mai nel mio ruolo. Inizialmente c’era Franco Causio, poi Marocchino, feci anche il centravanti. Ebbi soddisfazioni, senza tuttavia completarmi».
Perciò andò al Verona?
«A 24 anni, dall’82. Fu la mia rinascita, con Osvaldo Bagnoli. Finale di coppa Italia, persa contro la Juve, e quarto posto; altra finale di coppa, perduta con la Roma, e 6. posizione, poi lo scudetto. Con anche belle avventure in Uefa, l’apice con la Stella Rossa: all’andata segnai io su rigore, a Belgrado doppietta di Galderisi e vittoria per 3-2. Peccato essere usciti nel turno successivo, con lo Sturm Graz».
All’Inter chi la portò?
«Piacevo al presidente Ernesto Pellegrini. Il primo anno ebbi il trevigiano Ilario Castagner, come allenatore, venne esonerato per Mariolino Corso, poi 3 stagioni discrete con Trapattoni. Riaffiorò qualche ruggine con il mister, che nell’88 prese Alessandro Bianchi, nel mio ruolo, e allora l’anno successivo tornai all’Hellas, dopo lo scudetto nerazzurro dei record».
Nella città di Romeo e Giulietta, retrocessione, promozione e di nuovo serie B.
«Anni altalenanti, dall’ultimo di Bagnoli, che andò al Genoa, dopo avere fatto perdere lo scudetto al Milan, nonostante fossimo già condannati. Smisi nel ’93, a 35 anni, potevo proseguire ancora, anticipai l’addio e rimasi a vivere a Verona».
Da allenatore è durato poco…
«Presi i patentini, feci un quinquennio nel settore giovanile gialloblù, finchè arrivò Prandelli, nel ’98, e mi volle come vice. Dominammo la serie B, arrivammo noni in A, e dall’86 fu il miglior piazzamento del Verona».
Lì Zamparini vi chiamò al Venezia. Altra promozione convincente e poi il classico esonero maturato dall’imprenditore friulano.
«Fatale la cattiva partenza. Io comunque terminai la stagione (in staff con Alfredo Magni e Beppe Iachini, ndr), tornai a Verona e smisi con il pallone».
Ora cosa fa?
«Il nonno, con molta serenità. Dal 2002 ho guadagnato in libertà, il mestiere di tecnico non era nel mio dna, me la sono goduta. Ha ragione un grande cantante, Vasco Rossi: “Essere liberi costa soltanto qualche rimpianto”».
Quasi tutti gli ex hanno affari immobiliari o investono in attività. Lei si annoia?
«No, il tempo libero appaga, con la famiglia e gli amici. Sono in pensione, ho sempre vissuto da friulano, con i piedi per terra. Mai fare il passo più lungo della gamba, nè dire gatto se non ce l’hai nel sacco».
Il motto preferito da Giovanni Trapattoni, celebrato dalla Gialappa’s band.
«Anche al top, ho sempre vissuto nella normalità, senza esagerare in nulla. Basta la salute. Tra Verona, Friuli e Roma dal nipote resto sempre occupato».
Dal 16 anni, cosa risponde a chi le chiede che mestiere fa?
«La vita è solo andata, non c’è ritorno, ovvero non si torna indietro. Non ho sperperato i guadagni, basta vivere di semplicità».
Quante partite ha visto, del mondiale?
«Spagna-Portogallo 3-3 e poi dalle semifinali, null’altro. Non seguo quasi più il calcio. Vado al Bentegodi solo quando dobbiamo propagandare la nostra onlus, Asd ex gialloblù, facciamo a turno, da cornice, chiamati da Chicco Guidotti, figlio dell’ex presidente Tino».
La formazione dello scudetto veronese: Garella; Ferroni, Marangon; Volpati, Fontolan, Tricella; Bruni, Sacchetti, Galderisi, Di Gennaro, Elkjaer. Chi gioca ancora, fra le vecchie glorie?
«Ogni tanto Volpati, a 67 anni, ex dentista, si aggiunge qualche ex degli anni ’90. L’anno scorso a Milano Marittima fummo terzi al campionato degli ex calciatori, dietro Cesena e Pescara, quarto il Frosinone».
E’ il più forte al mondo, fra gli over 60?
«Beh, grazie a Dio ho salvato le caviglie, la ginocchia e la schiena, quasi tutti i colleghi sono operati. Tanti si danno al golf, bisogna volersi bene nell’alimentazione e nell’attività fisica».
Il gol e il traversone più belli?
«La rete alla Lazio ci diede la garanzia dello scudetto con il Verona, la delusione fu all’Inter. Ogni cross è bello quando viene trasformato in gol, su colpo di testa o da tiro al volo».
I migliori amici e la volta che perse il controllo.
«Avevo un feeling particolare con Cabrini e Tardelli. Mi dava fastidio chi tratteneva per la maglia, una volta diedi una gomitata a Icardi, poi con me al Verona, perchè in un Verona-Milan mi teneva: “Dammi una scarpata, piuttosto…».
Vanni Zagnoli

Da “Il Gazzettino”

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